Food taster stellato e ricercatissimo dalle aziende americane, Filippo Bartolotta racconta il suo lavoro.

Nasce a Firenze il primo corso per food taster, ossia «assaggiatore delle materie prime». A farlo è la scuola MaMa Florence e il suo ideatore è Filippo Bartolotta (nella foto) uno dei food taster più esperti al mondo, tanto che proprio a lui è stato dato il compito di scegliere i vini italiani da far assaggiare agli Obama in visita in Toscana.

La sua storia personale è esemplare, dato che stiamo parlando di un mestiere fantasma, ossia un lavoro fin’ora esercitato in modalità «ghost», o comunque non professionalizzato nel suo insieme.

Tutto è cominciato a Vinopolis, il più grande museo interattivo di vino del mondo, quando Bartolotta, classe ’72, si trovò a lavorare al fianco di Steven Spurrier – soggetto principale del film «Bottle Shock» – e cominciò a scrivere per «Decanter Wine Magazine UK», per la «Guida dei Vini d’Italia», poi diventando il wine columnist della «Gazzetta Gastronomica».

«Il naso», racconta, «me lo sono fatto lì, con il vino, assaggiando, sentendo, ascoltando tutto ciò che non si vede eppure sta dentro a un sapore. E da lì, al cibo. In bocca sentiamo solo dolce, salato, amaro e acido, il palato non basta. È con il naso che possiamo volare, e solo col naso si possono distinguere le infinite variazioni di una stessa materia prima. Ma occorre allenamento, perché sono in pochissimi a nascere con il “‘naso assoluto”».

Food taster stellato e ricercatissimo soprattutto dalle aziende americane, Bartolotta intanto assume incarichi all’Università di Siena, al NYU, al Politecnico di Milano, alla Bocconi, all’Accademia di Palazzo al Piano e all’Alma Graduate School: «L’esperienza che ho acquisito viaggiando tra i continenti e i loro sapori è stata fondamentale. Di solito i food taster sono specializzati in un settore specifico, ad esempio l’olio di oliva, ma è rarissimo incontrare degustatori a 360 gradi, capaci di sentire tutto in tutto. La più brava food taster che ho conosciuto è italiana, E. M., e lavora come ghost per moltissimi ristoranti, chef e aziende: ha un palato incredibile, ma è riuscita a svilupparlo in vent’anni di pratica».

Nel 2011 Bartolotta diventa assaggiatore per la Casa Bianca: «Alla terza edizione del Road Show Italy at Your Table, che avevo organizzato insieme all’italo-americana Vanessa Held, specializzata a Siena in Ovicultura e oggi mia partner a MaMa Florence, mi ha cercato lo staff presidenziale e il Metropolitan Museum di New York: gli Stati Uniti sono i principali fan dei food tasters, dato che non vanno fortissimi in cultura enogastronomica».

Ma cosa deve fare esattamente il food taster? «Stiamo parlando di analisi sensoriale. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Anche per questo non esisteva, fino ad oggi, una scuola che lo insegnasse. Si possono fare centinaia di corsi di degustazione di olio, vino, cioccolata, caffè, tanto per parlare dei basilari, ma per sviluppare un naso e un palato sopraffino, occorre sostanzialmente esperienza e allenamento. Per noi questa è una sfida: avviare al food tasting in un solo corso significa insegnare gli esercizi per un allenamento corretto di naso e palato al di là di quanto si possa studiare sui libri. Il punto infatti è ‘sentire’ più che ‘sapere’, è diventare capaci di riconoscere un sentore, un profumo, anche se non c’è, se non si vede. E i sentori ce l’ha qualsiasi materia prima, anche se non sono quelli della materia stessa».

Orgogliosa di lui nientemeno che Alice Waters, colei che ha creato, negli anni ’80, la cucina fusion, laggiù in California: «Mia grande amica, lavorare con lei mi ha aperto interi universi. Nella fusion è la qualità della materia prima a fare il piatto. Se ho una ricetta con la robiola, non è lo chef ma il food taster a scegliere quale robiola è più adatta per quel dato piatto. Magari quella con la persistenza più straordinaria sarà invece troppo intensa». E sta qui la vera differenza con il controllo qualità: «Il degustatore cerca i sapori in una materia prima perfetta, e questa perfezione è certificata in precedenza, appunto dal controllo qualità».

Intanto, racconta come funziona il suo lavoro di food taster: «Assaggio i prodotti e li valuto, seguo la loro produzione, li ottimizzo, li declino, li metto in commercio. Creo menù, ricerco prodotti, compongo tutte le tessere dello storytelling di una materia prima. Sono in particolare degustatrice professionista di cioccolato, olio extravergine di oliva e formaggi, e sono appassionata di pane, gelato e cucina indiana. Molti chef mi chiedono di valutare le materie prime che usano e di ottimizzare menù e piatti. È un lavoro che va ben oltre la critica e che entra nel processo creativo del piatto stesso, analizzando tecniche e soluzioni alternative, ma anche food cost e statistiche di vendita. Mi pagano per creare piatti stellati o per fare panini, per ideare bibite, per controllare salse, marmellate e confetture, per studiare nuove linee di prodotti, per trovare nuovi modi di raccontare il cibo attraverso i testi, i video, le foto».

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