Carcinoma al quarto stadio: restano mesi di vita, dice la scrittrice Michela Murgia, parlando al collega Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera della sua malattia al rene e dichiarandosi senza paura di morire. Racconta della scelta di come curarsi, la stessa con cui ha curato, per tutta la vita, il nostro Paese malato: non attaccando la malattia come un nemico esterno da distruggere, ma dialogando con essa, stimolando una risposta dall’interno. Perché la malattia ci riguarda, l’abbiamo creata noi e di noi fa parte.

Un po’ come il lavoro instancabile sul linguaggio, sull’immaginario: stanare i pregiudizi inconsapevoli, denunciare i bias, smontare gli stereotipi, minare un’organizzazione tossica del potere. Una demolizione di un sistema (il cancro del patriarcato) che avviene senza bombe ma per sostituzione: la giustizia vince sull’ingiustizia, grazie all’emergere del desiderio.

Per questo Michela Murgia non si sente una perdente, anche di fronte a una morte prematura: non c’è vittoria più profonda e duratura della generazione di un nuovo sistema capace di disinnescare il vecchio, quello sì, portatore di morte.

E ha ragione, perchè da lei in poi, dal Sistema-Murgia, dal Sistema Immunitario Murgia (io l’ho sempre chiamato il murgianesimo), il patriarcato non potrà mai più avere la stessa forza, non potrà mai più continuare a funzionare indisturbato, perché è stato visto, nominato, diagnosticato, studiato in ogni suo meccanismo, denunciato alla Storia.

E’ questo il biofarmaco con cui Michela Murgia ha curato e continua a curare l’Italia, facendoci reagire all’oppressione, stimolando il desiderio di giustizia, uguaglianza e libertà.

Michela Murgia ha curato un Paese in metastasi, alle ossa, ai polmoni, al cervello, un’Italia che non poteva più respirare, muoversi, pensare, mangiata da un male gentile, cresciuto dentro per secoli e per secoli nutrito, il cancro del privilegio e della cultura maschilista, violenta, prevaricante.

Ha scoperto il biofarmaco (il desiderio) capace di creare una nuova organizzazione sociale libera dal male, ampia, dove le unicità sono valorizzate e le donne non possono più, mai più, essere oppresse. E. non lo ha fatto attraverso un esorcismo ma, appunto, attraverso la cura, il prendersi cura.

Se la letteratura serve, come dice, a ribaltare lo sguardo, ecco, lei, Michela Murgia, ci ha riempiti e riempite di letteratura, ci ha rese per sempre consapevoli che un punto di vista è solo la vista da un punto (Manifesto ReWriters) e che quindi non potranno mai più esistere totalitarismi senza che contestualmente fioriscano sistemi immunitari capaci di farli recedere.

Per questo Michela Murgia si augura (e io con lei) di non morire prima che vada via Giorgia Meloni: l’attuale Premier è una recidiva pericolosa che sta mettendo a dura prova il sistema immunitario che Murgia stessa ci ha regalato in questi oltre 20 anni di produzione (ricordo quando la invitai al mio corso in Sapienza Università di Roma, agli inizi della sua carriera, per presentare il suo libro d’esordio, Il mondo deve sapere).

Michela Murgia ed Eugenia Romanelli

Una delle più grandi intellettuali della contemporaneità, dopo averci allattate con testi, parole, azioni e pensieri e aiutate a sviluppare un sistema immunitario resistente per prenderci cura del cancro di un patriarcato che noi stesse abbiamo contribuito a organizzarsi e mettere radici, con la sua recente intervista ci ricorda che oggi abbiamo consapevolezza di questo male e dunque anche la responsabilità di curarlo.

Ricordo quando eravamo a casa mia e immaginavamo la tua direzione di questo giornale: mi dicesti che avremmo dovuto disturbare, non condividevi la mia posizione. Sono quattro anni che le tue parole mi lavorano nella mente, come un seme che, piano piano, fa fiorire un giardino inaspettato. Adesso che leggo il tuo alfabeto dell’addio, non vedo l’ora di leggere Tre ciotole (in libreria dal 16 maggio) e per adesso ti auguro di andare presto in Corea.

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