Se in Italia chiedeste a trenta persone cos’è il drag e chi sono le drag queen, avreste trenta risposte diverse. Attorno a questa sottocultura orbita una confusione che spinge la maggioranza a identificarla come un orientamento o un’identità di genere o, al peggio, come una devianza. A differenza degli Stati Uniti, non abbiamo mai avuto momenti di formazione sul tema; forse anche per questo continuano a essere diffusi dei miti attorno al drag.

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Per Lucio Malan (politico di Forza Italia), il DDL Zan prevederebbe il carcere per chi non assumesse un babysitter drag queen; come se il drag fosse necessariamente legato a qualcosa di impuro da non mostrare ai bambini. Il drag show è uno spettacolo di inversione e parodia dei generi, ma ha origini misteriose e aspaziali; è eterosessuale e queer; impolitico perché inscena il bisogno misterioso di parodizzare le convenzioni sociali ma dalle conseguenze politiche.

«Era tempo di dipingere i tanti livelli di profondità del drag: il fenomeno è esploso nel pop e la comunità ha un forte desiderio di essere (ri)conosciuta ma non c’è materiale scientifico a riguardo» scrive Eleonora Santamaria, la scrittrice del primo saggio italiano sul drag attuale Drag. Storia di una sottocultura, libro che vuole essere un primo istante pedagogico sul tema.

È lei, insieme alla casa editrice dell’Asino, ad aver lanciato la call «Cos’è drag?» per combattere la disinformazione e il terrore legati all’argomento. La chiamata è stata accolta da moltissim* sui social; diverse drag queen italiane o appassionat* di drag hanno voluto raccontare il proprio punto di vista su quest’arte/artificio, esattamente com’è avvenuto anche per lo studio che sorregge il saggio Drag. Il suo scheletro è composto infatti da una grande partecipazione di accademici, come il professor Emiliano Morreale della Sapienza, della comunità e delle associazioni, Circolo di  cultura omosessuale Mario Mieli in primis, una polifonia di voci di artist* e un’infinità di storie di cui la scrittrice si «prende cura».

Perché parlare di queste performance di ribaltamento del femminile e del maschile proprio ora? Dal lavoro di ricerca di Santamaria si può comprendere quanto il drag fornisca visioni complesse di una realtà complessa. «Credo nel reciproco arricchimento tra istituzioni e cultura drag, i valori che veicolano le figure mitologiche delle drag queen (“metà donne e metà Raffaella Carrà” come dicono le Karma B) combattono le polarizzazioni di pensiero e rifiutano i compartimenti stagni per le identità. Con le sue implicazioni sociologiche, filosofiche, artistiche e antropologiche, il drag sembra rispondere alla necessità di considerare i tanti gradi di comprensione della società. E lo fa ballando sui dogmi.»

Fare divulgazione sulla drag culture vuol dire scardinare le convenzioni sociali (e mostrarle per ciò che sono) ma anche scovare il filo rosso che ci lega come esseri umani, oltre ogni comunità, luogo e tempo.

«Ciò che mi ha colpito di più è stato scovare forme di “protodrag” dove non mi sarei aspettata: nelle tribù in Papua Nuova Guinea, dov’è diffuso il rito/spettacolo Naven di parodia dei generi, o nei paradigmi a tre o quattro generi sud americani; nell’antica Grecia o all’interno dell’iconografia religiosa norrena. Esiste la necessità antica e profonda di giocare sulle costrizioni sociali, di urlare “il re è nudo”, qualcosa che ci rende parte di una storia comune.»

Il saggio si conclude con ciò che l’autrice definisce «teoria dell’inclusività queer» che è non solo tra i motivi della popolarità attuale di alcune regine (basti pensare che a New York è stato istituito un corso di laurea a riguardo) ma anche tra le ragioni per cui la drag culture può essere portavoce e simbolo delle evoluzioni sociali attuali. Il drag non richiede asilo alla maggioranza, spalanca invece le proprie fortezze culturali; è inclusivo verso tutti, tutte e tutt* perché ammicca al pubblico queer ma sbalordisce e si lascia comprendere da chiunque. «La rivoluzione non sarebbe possibile senza includere nel proprio discorso l’intera società. E si può fare anche con leggerezza», suggerisce la conclusione di Drag. Storia di una sottocultura.

Santamaria fa parte del Movimento Culturale ReWriters che ha la mission di riscrivere l’immaginario della contemporaneità: ha sostenuto con un video e con una donazione la campagna di crowdfunding (dona anche tu qui) e tiene un blog sulla moda per premiare quei marchi che si impegnano nella costruzione di nuovi modelli culturali (leggi i suoi articoli qui). Con lei, anche le drag queen Karma B., artisti impegnati con ReWriters con un vlog, Drag the culture, primo nel suo genere in Italia. Ecco il loro video di sostegno al cowdfunding di ReWriters.

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