Il We-mode dello psicologo clinico e psicoanalista Peter Fonagy, professore l’University College di Londra, è un tipo di funzionamento che, se attivato, può trasformare qualsiasi tipo di conflitto. Alla base del We-mode c’è la condivisione delle menti, la quale presuppone una buona capacità di mentalizzazione, ossia la coordinazione tra l’esperienza soggettiva, ciò che un’altra persona sta vivendo e la valutazione oggettiva della realtà esterna. Se la mentalizzazione è condivisa (co-mentalizzazione), se cioè si condivide la capacità di riconoscere che si hanno prospettive diverse su un oggetto di realtà, si attiva la condivisione delle menti, appunto il We-mode.

Questo passaggio è fondamentale per capire in profondità il claim del Manifesto ReWriters, un punto di vista è solo la vista da un punto, che vuole in effetti rappresentare l’importanza del We-mode nella convivenza sociale. Riuscire a creare un focus condiviso, una intenzionalità condivisa, una co-mentalizzazione tra diverse prospettive significa capire tuttə insieme qualcosa che stiamo condividendo: quanto sarebbe utile, ad esempio adesso, sul focus vaccini, invece di alimentare opposizioni!

Questa sorta di prima persona plurale produce collaborazione e permette di evolvere all’intero gruppo sociale, all’intera comunità, pur nelle differenze di prospettiva della soggettività di ognunə. Si tratta di sostituire al contrasto tra individuo e sfera sociale l’incorporazione della cognizione sociale.

Sviluppare un modello We-mode significa coltivare una cultura dell’inseparabilità dalla nostra comunità, un nuovo immaginario dell’identità, non più separato da tutto ciò che non sia io, ma olistico, in relazione con il proprio ecosistema, che in definitiva è anche il pianeta, oltre alla società dei pari.

Il filosofo finlandese, morto lo scorso anno, Raimo Heikki Tuomela, parlava di “vedere qualcosa congiuntamente”: l’identità come noi, non più intesa come io. Che infondo è lo stesso concetto alla base del pensiero post queer, laddove il them si usa per rivolgersi alle persone che si definiscono di genere non-binario.

Condizione necessaria per attivare il We-mode è la destrutturazione del pregiudizio (o predizione). Ci aiuta a capire come fare il neuroscienziato Karl John Friston, vera autorità mondiale nel campo del neuroimaging e teorico del predictive coding: il cervello è un modello generativo, genera ipotesi, e lo fa cercando di massimizzare queste ipotesi e minimizzando le predizioni; perciò l’errore di predizione (pregiudizio) è la differenza (la mancata corrispondenza), tra le predizioni e il feedback dalla realtà.

Fonagy applica questo modello matematico delle scienze computazionali al We-mode per dimostrarci come la nostra interazione naturale con il “mondo fuori”, con gli altrə, sia qualcosa che, nel modello ottimale di fluidità, ci appartiene fisiologicamente: “Questo modello matematico è molto importante per noi – dice Fonagy – perché spiega il valore dell’entropia nelle relazioni, dell’energia libera, quella mentalizzazione che permette il We-Model. Spesso però agiamo per rendere vere le nostre predizioni e i nostri pregiudizi e minimizzare la sorpresa – che implica sempre un certo dispendio per rimodulare le nostre credenze. Per confermare le predizioni, per rendere il mondo un luogo prevedibile e rassicurante, basta riferirsi ai modelli o alle esperienze del passato, in modo da “controllare” il feedback dalla realtà. Ecco che, quanto più ci distanziamo dal modello ottimale di fluidità e della disponibilità ad integrare il cambiamento, tanto più sviluppiamo una sorta di “pietrificazione”, di messa in sicurezza rispetto al mondo sociale – che viene percepito come minaccia, che però invalida la capacità di mentalizzazione”, e dunque il We-Mode.

Quello di ReWriters è un invito al We-model come metodo per una rivoluzione valoriale che abbia come obiettivo la realizzazione compiuta di ogni essere vivente, senziente e non, in relazione alla finalità della propria natura. Chiunque voglia contribuire al nostro progetto, diventando partner, sponsor o blogger, mi scriva a direzione@rewriters.it.

Continua a leggere su The Post Internazionale.