Fioriscono le mimose e le donne secernono ormoni: come fare in tempo di Covid?

Feb 15th, 2021 Articoli

Arne Holte è una vera autorità in Norvegia (professore emerito di psicologia della salute presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Oslo) e i suoi studi con l’Università di Tromsø sul desiderio sessuale femminile hanno fatto il giro del mondo, soprattutto nei rotocalchi, visto l’appeal dell’argomento. In poche parole, a quanto pare (a me mi pare!) noi donne cominciamo ad avere appetiti sessuali appena si allungano le giornate, dato che il nostro ciclo libidico è legato alla luce del sole, che innesca la secrezione di dopamine e serotonine. Più vitamina D, minor livello di stress, maglioni che si levano, ferormoni che si propagano, e il resto ça va sans dire. Ora però abbiamo un problema, Huston.

La pandemia ci impone una responsabilità, non solo verso noi stessi e i nostri cari, ma verso il pianeta, che è quella di essere care giver, portatori di cura. E’ una responsabilità a cui nessuno (o quasi) ci obbliga se non la nostra stessa coscienza. Mica cippa. Per chi è single, per chi vive relazioni e matrimoni “cold bed” e magari conta sui trombamici, per chi fa sesso sulle App, sono tempi duri. Come conciliare pulsioni sacrosante e cautela? Il rebus non ha risposta.

Ho indagato un po’ in giro: “Mi tampono ogni settimana perchè non si può smettere di vivere”, mi ha detto un’architetta. Altri rischiano e basta, magari riducendo gli incontri occasionali, o contando sugli effetti contenitivi del vaccino. Qualcuno – molti – praticano l’astinenza. Insomma, siamo sempre al pendolo tra pulsione di vita e pulsione di morte: rischiare o frustrarsi. Occorre, per forza, trovare una mediazione, modulare, venire a patti, trovare un compromesso. Anche perchè, se si aggiunge alla primavera 2020 in lockdown quella di castità del 2021, la depressione imperante registrata nel mondo occidentale rischia di diventare piaga sociale.

Vorrei proporre una prospettiva, che certamente non è una soluzione, ma che forse potrebbe diventare un nuovo paradigma, l’impianto di significazione – filosofico, etico e esistenziale – anche solo d’occasione, per continuare a fare l’amore, a incontrarsi pur senza conoscersi approfonditamente, senza assumere rischi eccessivi per la salute, la propria e quella degli altri.

Se i terribili anni ’80 e ’90 dell’hiv hanno insegnato il modello di precauzione, sdoganando l’uso del profilattico (dai, va rivisto Philadelphia, ora che ci penso!), spero che gli anni del Covid ci insegnino a recuperare il senso della relazione. E’ proprio questa la mia prospettiva: in un momento complesso come quello che a fatica stiamo vivendo, occorre necessariamente riscrivere alcuni parametri della sessualità, se si vuole continuare a viverla in libertà, creativamente, ognuno secondo i proprio gusti e indoli. E la riscrittura parte proprio dalla relazione.

Mi spiego. La digitalizzazione della sessualità ha facilitato ciò che da sempre accade, ossia la soddisfazione usa-e-getta del desiderio, l’ha resa democratica, inclusiva, ha introdotto la cultura del consenso dove per lo più vigeva quella del potere e del dominio (degli uomini sulle donne, ma direi sui soggetti più fragili in genere), ha riconosciuto e reso riconoscibile il desiderio e il gusto di tutti, in ogni forma e nessuno escluso. Una rivoluzione importantissima, i cui fondamenti nemmeno i ruggenti anni Settanta erano riusciti a innervare nelle nostre società. Eppure un costo, come in ogni trasformazione, c’è ed è appunto in termini relazionali.

Il ménage, la liaison, quella comunicazione, quel dialogo dinamico tra due, quell’empatia che sostengono e nutrono la fiamma sessuale, ossia l’incontro, la relazione (di qualunque natura essa sia, da qualunque grammatica di scambio sia sorretta), sono stati assolutamente sacrificati e declassati, erroneamente ridotti allo status di “ostacolo”: ostacolo all’amplesso. Perchè? Semplicemente perchè richiedono tempo: il tempo dell’ascolto dell’altro. Ma, dicevo, questo è un errore, perchè è in quel tempo, nel tempo che vissuto in due diventa intimità, che si guadagna il piacere sessuale.

La digitalizzazione della sessualità è responsabile anche, a mio avviso, dell’aumento del disturbo narcisistico di personalità, perchè va a braccetto con una spasmodica concentrazione sui propri desideri, i propri bisogni, i propri gusti, le proprie fantasie, impellenze, mancanze. Le App per incontri, lo sappiamo, funzionano come un mercato, e al mercato occorre andare preparati con una preventiva lista della spesa: di cosa ho bisogno, cosa mi manca, cosa mi va, cosa prendo. L’altro non è previsto, nè i suoi desideri, le sue fantasie, i suoi bisogni. L’altro è un mio rifornimento, un oggetto, una funzione.

Adesso questo “all you can fuck” va necessariamente rivisto, dato che un preservativo non basta più a proteggere la nostra salute. Mi pare un’ottima occasione per riconsiderare la funzione del tempo e della relazione nella ricerca del partner sessuale, concedendo più importanza alla valutazione dell’opportunità e all’ascolto (sia di ciò che proviamo, sia dell’altro) che dobbiamo necessariamente imparare a fare per prendere delle decisioni nella piena consapevolezza che, oggi, fare sesso con partner occasionali o sconosciuti può mettere a rischio anche serio la salute nostra e degli altri. E allora le domande che consiglio di porvi, quando vi sentite attratti da qualcuno o semplicemente “avete voglia”:

  1. Quanto mi piace quella persona? Approfondire
  2. Che stile di vita ha quella persona? Approfondire
  3. Quanto mi va di rischiare per quella persona? Approfondire

Secondo me, a tutte queste domande c’è una sola risposta: concedersi il tempo per conoscersi un po’ di più, prima di abbassare mascherina e slip. Sarà soltanto un guadagno. A 360 gradi.

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