Mi sono bevuta questi 99 coloratissimi minuti, sessantesimo classico Disney, diretti da Byron Howard e Jared Bush, insieme alla co-regista Charise Castro Smith. La pandemia sembra aver scatenato la casa di produzione che quest’anno, per l’ottava volta dalla sua nascita, ha partorito ben due classici (l’altro è Raya e l’ultimo drago).

Siamo in Colombia, esattamente a Encanto, un paesino inventato nascosto sulle montagne, dove vive la famiglia matriarcale dei Madrigal. Tutti i membri di questa famiglia hanno ricevuto in dono, alla nascita, un potere, tranne Mirabel, “imperfetta e stramba” (così descritta).

Se mi seguite, sapete che tendo a fare interpretazioni dei film che vedo, piuttosto che una critica, e quindi, eccomi anche stavolta: il dono che ognuno dei familiari possiede è chiamato talento. Tale talento viene messo in scena come un potere (influenzare il meteo tramite i cambiamenti di umore, curare gli altri tramite un solo assaggio di ciò che si cucina, far sbocciare fiori ovunque si voglia, una forza sovrumana, un udito amplificato, mutare forma assumendo l’aspetto di qualunque persona si desideri , etc). Nella narrazione cinematografica, questi poteri stanno misteriosamente scomparendo e la magia si sta esaurendo: nessuno sa il perchè, nessuno ha un rimedio.

Sarà proprio Mirabel, l’unica della famiglia che non ha talenti, a risolvere la situazione, che ormai volge al disastro totale: sapete come? Con un abbraccio. Ma facciamo un passo indietro: pian piano, approfondendo le dinamiche della famiglia, scopriamo che nessuno è realmente felice del proprio potere, perchè ognuno vive come un peso l’aspettativa dell’intera famiglia proprio in virtù di quel talento attribuito alla nascita, quasi come un destino segnato da confini che assomigliano a volte a una prigione. In questa situazione in cui gli orizzonti sono diventati confini, Mirabel, alleata con Bruno, anche lui reietto dalla famiglia, si ribella al suo stesso senso di colpa e accusa la matriarca di averla sempre fatta sentire la delusione dei Madrigal.

La matriarca accoglie le critiche e, con l’abbraccio che vi dicevo, integra Mirabel e con lei tutto ciò che è imperfetto e strambo nel suo mondo, nella famiglia. Questo gesto è ciò che permette ai Madrigal di ricostruirsi e, con l’aiuto dell’intero villaggio, anche ricostruire la propria casa andata distrutta. Il vissero-felici-e-contenti è una grande evoluzione per Disney, perchè non ci sono nè matrimoni con principi azzurri nè nascite di bebè in pompa magna nè ricchezze luccicanti, bensì l’empowerement: Mirabel trova il suo talento che, semplicemente, è quello di essere se stessa, e con lei anche tutti gli altri membri della famiglia si illuminano della stessa rivelazione, ossia che il talento è uno solo, e, appunto, si chiama autenticità.

Vi lascio con le parole del maestro buddista Daisaku Ikeda:

Mentre osservavo il panorama mi sono ricordato che nella ‘Raccolta degli insegnamenti orali’ Nichiren Daishonin afferma che il ciliegio, il susino, il pesco e il prugno selvatico incarnano ognuno la suprema verità così come sono, senza subire alcun cambiamento. Questo insegnamento ci offre un modello secondo il quale vivere la nostra esistenza. Il ciliegio fiorisce come un ciliegio e vive per realizzare la sua unicità; lo stesso è vero per il susino, per il pesco e per il prugno selvatico. Ognuno di noi dovrebbe vivere così. Ciascuno ha la propria indole e il proprio carattere e ciascuno è nobile e degno di rispetto. Per questo si dovrebbe vivere con un forte senso di sé, rimanendo fedeli a ciò che si è. Lo scrittore Saneatsu Mushanokoji una volta disse: ‘Sia che gli altri mi vedano oppure no, io continuerò a fiorire’“.

Continua a leggere su ReWriters Magazine.