Intanto segnate in agenda, poi vi spiego perché: 20 aprile, teatro Arciliuto, Roma. Quel mercoledi, infatti, arriva nella capitale un artista che merita incontrare. Si chiama Tiberio Ferracane, per strada lo confondono con Vincent Cassel per via dell’inquietante somiglianza, e con l’attore in effetti condivide il fascino e l’estro. Ci tiene a restare sconosciuto, a schivare le lusinghe di riflettori e media, a non restare intrappolato negli ingranaggi del consumismo nei suoi aspetti deteriori che, come spesso ripete nelle interviste, ha infettato anche l’arte, “che per sua stessa natura dovrebbe invece esserne immune, libera di rappresentare l’esistente nel suo incessante processo creativo”.

Musicista, autore teatrale, e ideatore del fortunato progetto “Bed&Show”, network intelligente che scambia posti letto tra artisti in tournée, vive a Torino ma è madre lingua francese, figlio di profughi dalla Tunisia, siciliani che, agli inizi del ‘900, erano emigrati dividendosi tra agricoltori e operai per costruire la ferrovia. Cresciuto tra le letture di Baudelaire e le poesie siciliane di Buttitta, tra le canzoni di Aznavour e Rosa Balestrieri, e la musica Araba, ha sviluppato una vera e propria passione per le contaminazioni tra le arti, fino a diventare uno degli talenti più interessanti (e sexy) delle contemporaneità underground.

Il primo a premiarlo migliore tra i migliori fu Sgarbi nel 1997, proclamandolo vincitore del “Festival degli sconosciuti”, nonostante già avesse portato a casa trofei importanti come la vittoria a Castrocaro e ben due primi posti al Premio Mia Martini (miglior interprete e vetrina giovani). Nello stesso anno arrivò finalista a Sanremo Giovani e, grazie all’incontro col manager Mario Minasi, cominciò a esibirsi con successo nei club di tutto lo stivale, rifiutando però di entrare nelle logiche del mercato musicale commerciale. Un artista a tutt’oggi rimasto libero, libero di creare ed esprimersi, come ben raccontano i suoi lavori, dagli album “Tiberio Ferracane” (2008) e “ Che cosa rimarrà di noi” (2010), ai suoi spettacoli teatrali, tra cui “Marisa tra le nuvole”, “Le somme della vita”, “Mister Volare” (omaggio a Domenico Modugno), “Quanto mi dai per Endrigo?”, e, appunto, “Che bello cafe’”, in scena a Roma il 20 aprile prossimo, messo in scena con Federico Sirianni per raccontare e cantare Domenico Modugno e Fabrizio De Andrè.

Intanto, a giugno uscirà il suo nuovo disco, “Metti una sera al cinema”, estratto da uno spettacolo che lo vede impegnato come interprete e attore, mentre procedono i progetti su Fred Buscaglione (“A proposito di Fred”) e sulla Torino dei jazz-club degli anni ’50 (“Censurati”, storia della censura in Italia). Di sé dice con orgoglio: “Sono vissuto in una famiglia in prevalenza femminile: sorelle, cugine, zie e nonne, e questo mi ha dato il privilegio di condividere le mie emozioni attraverso l’occhio attento delle donne. Gli amori hanno accompagnato la mia vita. Spesso mi hanno consumato, ma comunque sono sempre in cerca di una frase, di uno sguardo, da cogliere e trasportare in musica. L’amore è l’unica arma che abbiamo per sopravvivere alla quotidianità”.

Della vicenda più drammatica della sua vita, perdere una figlia, mi hanno colpito le sue parole soffici: “Serenella, adesso, accompagna la mia musica, anzi, la mia musica, da quel 17 maggio del 1996, ha la sua forma, il suo profumo e i suoi colori”. Padre orgoglioso di Ramon, che quest’anno si iscriverà al Liceo Coreutico presso il Teatro Nuovo Torino per intraprendere gli studi professionali di danza, afferma con occhi brillanti: “Mio figlio è stato il ponte verso la vita reale, verso gli impegni di genitore, la consapevolezza che siamo immortali attraverso i nostri piccoli eredi che un giorno andranno via portandosi addosso a qualcosa di noi”.

A presto, allora, a Roma, per vedere “Che bello caffè”: siamo al Festival di Sanremo del 1958 e, per la prima volta nella storia della canzone italiana, un giovane autore canta una canzone scritta da lui stesso, “Nel blu dipinto di blu”. E’ una deflagrazione, un punto di non ritorno nel mondo della musica leggera. Nasce la prima vera figura di “cantautore”. Tre anni dopo, nel 1961, un giovane scapestrato della Genova bene, rifiutando lo status borghese, si immerge nell’inferno della città vecchia, degli emarginati e degli ultimi, e scrive la sua prima canzone, dichiaratamente ispirata al mondo di Modugno, “Nuvole barocche”. E’ l’esordio di Fabrizio De Andrè che, da lì in avanti, verrà riconosciuto come il più importante cantautore italiano.

(Foto di Eloise Nania)

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