«Come si sentirebbero gli uomini nel vedere così tanti loro compagni uccisi solamente per essere, come loro, degli uomini? Cambierebbero il loro comportamento, camminerebbero insieme per sicurezza, eviterebbero certe zone della città, starebbero attenti a non stare fuori oltre una certa ora? Come si sentirebbero i ragazzi, sapendo che il loro genere li rende un bersaglio che cammina?»: inizia con questo scenario volutamente disturbante, il capitolo che riguarda la violenza dell’ultimo libro uscito in Italia della giornalista e attivista egiziano-americana Mona Eltahawy, Sette peccati necessari (le plurali editrice, 2022).

Mona Eltahawy

Le plurali pubblica libri di saggistica e narrativa, esclusivamente d’autrici. Ha occhio per manoscritti inediti, traduce e rimette in circolo libri che non puoi trovare in Italia, ti offre guide per orientarti tra le galassie femministe.

Il simbolo che adotta è la macchia: uniche e originali, a volte le macchie nascono per caso per poi fare rete con altre macchie e diventare segni, sillabe, parole e storie di cui non puoi fare a meno. Ok, prontə? Bene.

Dopo aver letto il loro Manifesto, torniamo drittə al libro: immaginiamo un mondo distopico in cui le vittime della violenza non sono le donne ma gli uomini. Il libro ci provoca con domande incalzanti: «Quando diventerebbe un’emergenza globale?».

Perché come altro vogliamo chiamare un fenomeno che colpisce almeno il 31,5 per cento delle donne italiane e una donna su tre nel mondo? Mona Eltahawy la violenza l’ha sperimentata sulla propria pelle, quella pubblica e quella privata. Nel 2018 lancia l’hashtag e il movimento #MosqueMeToo, denunciando di aver subìto molestie durante il pellegrinaggio alla Mecca quando era una ragazza e permettendo così a tantissime altre di raccontare le violazioni subite nei luoghi sacri dell’Islam.

Eltahawy subisce un’altra aggressione fisica e sessuale nel suo paese, l’Egitto, quando nel 2011 viene arrestata durante le proteste di piazza Tahrir. Ne esce con entrambe le braccia ingessate e un trauma. Ma di nuovo non si fa zittire, anzi usa il fatto di essere una giornalista nota per denunciare le violenze sistematiche subite dai manifestanti e le manifestanti in quel contesto.

Mona Eltahawy

Ma, come l’autrice ripete più volte, dobbiamo smettere di pensare che il patriarcato, la violenza, le violazioni dei diritti umani siano qualcosa che avviene “là”, perché gli stessi meccanismi, più o meno subdoli o violenti, sono anche “qua”:

«A prescindere che viviate in una monarchia assoluta come l’Arabia Saudita o in una democrazia liberale, come Canada o Stati Uniti, a prescindere da quale sia la vostra religione o se siete atee o laiche, a prescindere dal fatto che il vostro Paese sia stato colonizzato o sia stato un tempo colonizzatore, sfruttando gli altri, il patriarcato vive ovunque».

I sette peccati di cui parla nel libro, quelli che invita le donne a compiere, sono: esprimere rabbia, attirare l’attenzione, ricorrere alla volgarità, avere ambizioni, ottenere potere, agire e reagire alla violenza, vivere la lussuria. Tutte cose che impariamo fin da piccole a evitare.

Un libro che affronta moltissimi temi e che ci racconta dell’attivismo delle donne di tutto il mondo, con un’ottica intersezionale e inclusiva che chiama in causa razzismo, abilismo, omofobia e molte altre discriminazioni. Leggetelo e regalatelo questo Natale, come un gesto rivoluzionario, perché il cambiamento parte anche dalle nostre case.

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