Udite udite. Mentre in Italia la discussione sulle famiglie omogenitoriali è becera e antistorica, e si continua sull’idea giuridicamente assai improbabile, ma decisamente più semplice, del reato universale, in Danimarca ci si confronta in scioltezza con il nuovo concetto di genitorialità ampia, tanto da farle corrispondere il corrispondente riconoscimento legislativo.

A tal punto che – come annunciato pochi giorni fa dalla stampa danese – è in arrivo il primo rampollo reale grazie alla gestazione per altri (GPA): il bimbo consentirà di mantenere l’asse ereditario in linea diretta per il titolo di un principato.

In Danimarca, dove è legale la GPA altruistica, vige infatti la legge salica («nessuna terra può essere ereditata da una donna, ma tutta la terra spetta ai maschi, che siano fratelli della donna»): il titolo passa solo agli eredi maschi.

Le difficoltà, adesso, potrebbero nascere nei rapporti con la Germania, dove la GPA è vietata per legge: l’antico casato infatti appartiene alla Germania, Paese che ospita il principe Gustav, principe di Sayn-Wittgenstein-Berleburg e la moglie Carina Axelsson, di 54 anni ciascuno.

Senza entrare nel dibattito tra i più interessanti della contemporaneità, ossia se la gestazione per altri (GPA) favorisca lo sfruttamento delle persone più deboli che vi sono coinvolte (GPA commerciale), soprattutto dove prevalgono le disuguaglianze, o se la sua forma solidale e gratuita sia la più alta espressione della cultura del dono (GPA altruistica), di sicuro considero rivoltante colpire i bambini e le bambine per punire i genitori (quelli omosessuali, nonostante il 90% delle coppie che vi ricorrono siano eterosessuali).

Per questo, oggi voglio parlarvi di uno studio delle ricercatrici e dei ricercatori dell’Università di Cambridge realizzato con il contributo di un Wellcome Trust Collaborative Award, ed appena pubblicato dalla rivista Developmental Psychology sul benessere dei figli nati con GPA o fecondazione assistita.

Le sessantacinque famiglie prese in esame hanno permesso lo studio della crescita dei loro figli dalla nascita fino alla prima età adulta per confrontarle con altre cinquantadue formate con concepimento non assistito nello stesso periodo. Ebbene?

I risultati confermano che l’assenza di una relazione biologica o genetica tra figli e genitori non interferisce con il benessere psicologico dei figli. «Nonostante le preoccupazioni di molte persone, le famiglie con bambini nati attraverso queste tecniche stanno crescendo bene – ha dichiarato Susan Golombok, professoressa emerita ed ex direttrice del Center for Family Research dell’ateneo inglese – e se abbiamo notato qualche differenza positiva, è nel gruppo delle famiglie che avevano rivelato subito ai bimbi il modo in cui sono venuti al mondo. Oggi ci sono così tante famiglie create grazie alla fecondazione assistita che sembra abbastanza normale, ma vent’anni fa, quando abbiamo iniziato questo studio, gli atteggiamenti erano molto diversi. Si pensava che avere un legame genetico fosse molto importante e che senza di esso le relazioni non avrebbero funzionato bene. Ciò che questa ricerca vuole dimostrare con i dati scientifici è che avere figli in modi diversi o nuovi non interferisce con il funzionamento delle famiglie. Volere davvero dei figli sembra avere la meglio su tutto: questo è ciò che conta davvero».

Anche grazie alla pubblicazione di questo importante studio (importante proprio perchè longitudinale), i pediatri e le pediatre dell’Associazione culturale pediatri (Acp) italiani, il 12 aprile scorso ha inviato una lettera alla Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, per chiedere una legge che possa garantire ai bambini, fin dalla nascita, il riconoscimento del genitore intenzionale (sociale), oltre a quello biologico, nonostante l’orientamento del governo. Solo due mesi prima, è stata inviata anche una lettera congiunta dei presidenti degli Ordini degli Psicologi delle Regioni Lazio, Campania, Sicilia, Marche, Abruzzo, Veneto ed Emilia Romagna.

Lettere senza risposta, inascoltate. Concordo con il commento del collega Alessandro De Angelis, su la Stampa del 24 aprile: l’ideologia politica del nostro governo, indifferente di fronte al vuoto legislativo e al richiamo del 20 aprile del Parlamento Europeo, e cieco di fronte ai risultati dei più autorevoli studi internazionali e della pratica medica consolidata, lo rende incapace di gestire una questione epocale che rischia di calpestare i diritti e restare indifferente al benessere delle persone più giovani della nostra società, esponendole al rischio di discriminazione e di disuguaglianza.

Il Parlamento europeo, si legge «…è preoccupato per gli attuali discorsi e movimenti globali anti-diritti, anti-genere e anti-LGBTIQ, che sono alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche all’interno dell’UE; ritiene che tali movimenti ostacolino in modo significativo gli sforzi volti a conseguire una depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender, in quanto legittimano il discorso secondo cui le persone LGBTIQ sono un’ideologia piuttosto che esseri umani; condanna fermamente la diffusione di tali discorsi da parte di alcuni leader politici influenti e di alcuni governi all’interno dell’Unione, in particolare in Ungheria, Polonia e Italia».

Sono 300 anni che l’Occidente riconosce i minori come portatori di autonomia e dignità, concetto ratificato da ben 35 anni dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: i diritti dei bambini e delle bambine non sono armi da brandire nella guerra tra ideologie opposte e farlo significa solamente violarli.

Per chi fosse interessato al dibattito, il 10 maggio, a Roma, Melania Mazzucco, autrice di Sei come sei, romanzo su una famiglia omogenitoriale maschile, presenterà il libro che ho scritto con mia moglie, Rory Cappelli, Nata con noi, per Giunti editore, in uscita l’11 maggio nelle librerie italiane, prima storia italiana di una famiglia omogenitoriale femminile: la mia.

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