Mettere in piazza il privato è sempre qualcosa che contiene delle ambivalenze, implica delle conseguenze, e bisogna essere prontə ad affrontarlo. Ma quando il privato può diventare un atto politico, ad esempio contribuire a rompere tabù, pregiudizi e stigma, magari incoraggiando altri e altre, la motivazione acquista una coerenza interna che di fatto protegge qualunque fragilità. Penso ai gesti di Fedez, di Murgia, di Baricco, e di tanti altrə che hanno parlato delle loro malattie, ognuno con le sue motivazioni ma sempre spendendo parole donative.

Parlare della propria salute mentale sembra qualcosa di ancora più scandaloso della malattia del corpo, come se soffrire di mali invisibili fosse una colpa più grave di un cancro. Lo hanno fatto Lady Gaga, che nel suo libro Channel Kindness racconta dei problemi di salute mentale nell’infanzia e nell’adolescenza, Cara Delevingne, quando ha aperto il vertice Women in the World 2015 sul tema della depressione («Penso di essermi spinta così lontano da arrivare al punto in cui ho avuto un crollo mentale, avevo istinti suicidi, non volevo più vivere»), Selena Gomez, che nel 2016 ha annullato un tour a causa di ansia e depressione e nel 2018 si è fatta ricoverare in rehab per un crollo emotivo, Demi Lovato, testimonial di Speak Up Form Mental Health, Ryan Reynolds, su Instagram, nel mese dedicato alla salute mentale, il principe Harry, che ha prodotto insieme a Oprah Winfrey la docuserie The Me You Can’t See per Apple TV+, dichiarando: «Decidere di chiedere aiuto non è un segno di debolezza. Nasciamo in circostanze diverse, cresciamo in ambienti diversi e nella vita affrontiamo esperienze diverse. Ma siamo tutti esseri umani. La maggior parte di noi si porta dietro traumi irrisolti, perdite o lutti. Che sembra appartengano solo a noi. E in un certo senso è così. Tuttavia lo scorso anno abbiamo imparato che siamo tutti sulla stessa barca e spero che questa serie dimostri che c’è forza nella vulnerabilità, connessione nell’empatia e potere nell’onestà».

In Italia non ci sono molti coming out in tal senso, a parte Chiara Ferragni, che oltre a parlare della sua ansia e consigliare l’EMDR, si mostra col marito nelle sedute dallo psicoterapeuta nella docufiction The Ferragnez. Già, perchè appunto si può parlare di tutto tranne che di attacchi di panico, depressione, ansia, disregolazione emotiva, etc: il malessere psichico sembra afferire, nella percezione sociale, a una responsabilità personale, quasi fosse un insulto rivolto agli altri, quelli che performano senza lamentarsi o perdere tempo.

Ma qualcosa si muove. A cominciare dai social, dove Federica Giusto, in arte Red Fryk Hey, fa un lavoro di sensibilizzazione sull’autismo molto interessante: sono ballerina, non binaria e orgogliosamente autistica, dice.

Anche Cesare Cremonini ha recentemente contribuito a sgretolare lo stigma sulla salute mentale, raccontando: “Mi pareva quasi di vederlo. E lo psichiatra me lo fece vedere. L’immagine si trova anche su Internet. È questo?, mi aveva chiesto. Era quello. Aveva braccia corte e appuntite, gambe ruvide e pelose. La diagnosi era: schizofrenia. Percepita dalla vittima come un’allucinazione che viene dall’interno. Un essere deforme che si aggira nel subconscio come se fosse casa sua”. E Ambra Angiolini, attiva sul tema della bulimia, di cui ha sofferto (il suo libro: InFame).

Grazie anche a Michele Bravi, che con l’album “La geografia del buio” tenta una decodifica, come spiegato dal cantante stesso, di un pezzo del labirinto del dolore: “Io ho poco pudore quando parlo del mio percorso terapeutico, ma credo che di certe cose bisogna parlarne apertamente“.

Anche noi di ReWriters siamo attivi sulla sensibilizzazione sulla salute mentale e il mag-book di luglio (abbonati qui), a cura della giornalista scientifica Beatrice Curci e illustrato da Asiel, raccoglie 10 grandi firme italiane impegnate sul tema, che saranno presenti anche al nostro festival speaker in una tavola rotonda voluta proprio per contrastare lo stigma.

Concludo suggerendovi il libro Tu non conosci la vergogna di Drusilla Foer, appunto sul tema della vergogna: credo molto utile per trasformare questa emozione, la vergogna, che spesso ci soggioga in un’altra, la compassione, di certo migliore alleata del nostro sentirci bene.

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