Le Famiglie dell’Arco Iris. Intervista alla giornalista e scrittrice Eugenia Romanelli

Dic 7th, 2018 Articoli

Nella storia della famiglia, il pensiero occidentale è stato fortemente influenzato da Aristotele che, nel suo libro La Politica, considera il nucleo familiare come primo mattone per la costruzione dell’aggregazione sociale. La famiglia, secondo il filosofo greco, favorisce l’autosufficienza del gruppo umano grazie alla complementarità dei sessi maschile e femminile nella generazione ed educazione dei figli, mentre ai servi è demandato il compito di eseguire i lavori necessari alla sopravvivenza quotidiana.

Purtroppo in queste forme di aggregazione vale il principio che il migliore comanda. Questo ha condotto a un modello di famiglia che si esplicita nella sua etimologia latina di famīlia, “gruppo di servi e schiavi patrimonio del capo della casa”, includendo anche moglie e figli del pater familias che legalmente gli appartenevano.

Mettere insieme due tensioni così differenti come quella maschile e femminile ha fatto nascere all’interno della famiglia il conflitto di potere tra uomini e donne. Friedrich Engels, sosteneva, infatti, che il matrimonio rappresenta «la prima forma di lotta di classe che appare nella storia in cui il benessere e lo sviluppo di un gruppo sono acquisiti attraverso la miseria e l’oppressione dell’altro». Tant’è che la famiglia si è evoluta identificandosi sempre più con la famiglia nucleare con parità di diritti e doveri tra i due sessi.

Sono aumentate le famiglie mononucleari sostenute da un unico genitore: la donna si è emancipata economicamente scegliendo spesso di sostentarsi da sola senza più dipendere dal potere del coniuge; l’uomo, su cui spesso gravava l’onere di mantenere l’intero nucleo, si è deresponsabilizzato lasciando che la donna provvedesse da sé al proprio sostentamento e a quello dei figli. Sono aumentate vertiginosamente le famiglie dei separati, dove non è facile gestire diritti e doveri dei genitori contribuendo ad accrescere il numero dei bambini sballottati tra un genitore e l’altro.

In questa incessante trasformazione della realtà sociale, è nata l’esigenza di portare alla luce una serie di ‘unioni invisibili’ che legavano, per esempio, individui dello stesso sesso e che non presentavano un riconoscimento socio-politico. Sono nate così le ‘Famiglie Arcobaleno’, «fondate non sulla biologia, nemmeno sulla legge, purtroppo, ma sulla responsabilità assunta, l’impegno quotidiano, il rispetto, l’amore». La scelta del termine ‘arcobaleno’ è presumibilmente collegata alla credenza che l’arcobaleno rappresenti un’entità sacra, una sorta di tramite tra il cielo e la terra, un ponte dall’arcata sospesa nel vuoto «che si staglia netta sullo sfondo cupo delle nuvole della tempesta», unione di tutti i colori, Il simbolo dell’arcata rappresenta la possibilità che esista una connessione impalpabile di realtà, piani e soggetti differenti, distanti. Si tratta di inglobare nel concetto di famiglia anche la realtà dei gay e delle lesbiche e del loro desiderio di paternità e maternità. Abbiamo intervistato la scrittrice e giornalista Eugenia Romanelli, blogger per Il Fatto Quotidiano, l’unico blog giornalistico italiano dedicato esclusivamente alle famiglie omogenitoriali.

Molti dei suoi romanzi sono frequentati da personaggi omosessuali o vi compaiono le famiglie omogenitoriali, nel blog che tiene per Il Fatto Quotidiano si occupa di questo tema: perché?

Nella mia ricerca artistica e intellettuale sono da sempre molto attratta dai cambiamenti culturali e sociali della nostra contemporaneità, e mi diverte impegnarmi nel prospettare quali potrebbero essere i prossimi scenari. Con i miei libri cerco di versare la mia goccia nell’oceano per contribuire a trasformare un immaginario ormai logoro in qualcosa che sia più inclusivo di quei soggetti sociali di cui manca di fatto una rappresentazione. Con il mio blog invece faccio attività giornalistica e politica: manca molta informazione sul tema omogenitorialità e c’è bisogno di difendere i diritti di famiglie e di bambini che al momento sono calpestati.

L’omosessualità in Italia è ancora oggetto di omofobia? L’evoluzione scientifica non ha aperto la mente della gente nei confronti della diversità?

Sì, lo è, anzi abbiamo in questo momento una vera emergenza sociale, tanto più perché manca una legge in merito. L’evoluzione in ambito riproduttivo ha aiutato molte coppie omosessuali a riprodursi ma anche su questo manca una vera e propria legge, e il tema è fortemente controverso. Senza leggi è difficile cambiare la cultura. Anche se prevedo che, come per altri switch socioculturali, sarà proprio “la gente” a stimolare il legislatore: le persone sono più aperte del nostro Parlamento.

Finora, la morale cattolica ha istillato negli eterosessuali e negli omosessuali stessi la pratica del giudizio, quanto pesa questo sull’accettazione e rivelazione della propria omosessualità?

Molto. Si chiama omofobia sociale introiettata. Lo approfondisce in modo interessante lo psicanalista Vittorio Lingiardi nei suoi libri. Sono spesso gli omosessuali a rifiutarsi per primi, identificati con il giudizio negativo di una certa collettività.

Nella vita sociale delle ‘Famiglie Arcobaleno’, quali bisogni della coppia e dei figli sono di più difficile soluzione?

I bisogni sono gli stessi delle altre famiglie. Per alcune famiglie è possibile inciampare in un’ansia di accettazione. Secondo la letteratura internazionale, unanime su questo, l’unico vero problema, nello specifico per i bambini delle famiglie omogenitoriali, è un rischio in più di ammalarsi di minority stress disorder, ossia lo stress di essere bullizzati. Ma questo accade purtroppo a molti altri bambini per tante diverse ragioni.

Se la madre naturale – in una unione tra due donne – ha gli stessi diritti di una madre eterosessuale, quanto si discrimina quella che non ha concepito il figlio ma lo vorrebbe adottare?

La madre sociale, ossia non biologica, ad oggi non vede riconosciuti i propri diritti in Italia, a meno che non percorra la via legale intentando una causa contro lo Stato. Ne sono state vinte parecchie, e adesso si stanno anche aprendo nuove prospettive: molte sentenze hanno riconosciuto il genitore non biologico anche semplicemente reinterpretando la legge in vigore.

Il mancato riconoscimento di figli omogenitoriali calpesta solo i diritti della coppia o soprattutto quelli del bambino?

Non è il figlio a non essere riconosciuto, ma il genitore non biologico. Il danno ricade in primo luogo sul bambino, per il quale ovviamente i genitori sono entrambi.

In che modo una coppia omogenitoriale affronta eventuali discriminazioni nei confronti dei propri figli?

Ogni genitore che si trova davanti a un figlio bullizzato reagisce con preoccupazione. Sul cyberbullismo, ad esempio, è stata di recente fatta una legge. Sul bullismo verso bambini con genitori dello stesso sesso, come per altre bullizzazioni invece no, quindi al momento prevale il buonsenso del genitore.

C’è sempre in una coppia dello stesso sesso un genitore che protegge e un altro che educa?

Secondo la letteratura scientifica contemporanea a un figlio viene garantita la possibilità di vivere una vita equilibrata se i genitori gli assicurano la funzione di care giving e quella normativa, ossia cura e regole. Non importa chi fa cosa. Esistono padri che curano e madri che normano, o genitori che interpretano entrambi tutti e due i ruoli. Se la funzione è separata dal genere sessuale a cui apparteniamo, una coppia omosessuale dunque è in grado di rifornire il figlio in questo senso.

Si riesce a instaurare un maggiore equilibrio familiare rispetto alla diversità di vedute che si verificano nelle coppie di diverso genere?

No. Le coppie e le famiglie sono tutte uguali in questo senso: apparteniamo tutti alla razza umana.

È più facile essere due madri o due padri?

Non saprei. Forse due padri incontrano maggiori difficoltà, anche solo per le modalità del concepimento.

Come pensi che sarà il futuro degli “Arcobaleno” in Italia? Riusciremo ad essere evoluti come negli altri Paesi europei?

Certo. Più lentamente. Come in tutto. Del resto l’Italia è un paese appena nato rispetto ai nostri vicini di casa.

La realtà della famiglia contemporanea, le nuove frontiere del lavoro femminile, la spersonalizzazione della globalizzazione, la mancanza continua del fattore tempo, costringono i genitori di qualunque tipo di nucleo familiare a incarnare il duplice ruolo di padre-madre o madre-padre – figura che con un termine da fiaba io chiamo ‘Mammoy’ – creando un nuovo equilibrio rispetto al significato di essere uomo e donna. Se già all’inizio degli anni Cinquanta, Erich Fromm considerava patologico l’uomo «normale» e socialmente adattato, capace di un comportamento mirato alle esigenze economiche e sociali, così come negli anni Trenta il carattere autoritario della società aveva condotto l’uomo rivestito di normalità alle peggiori barbarie – non solo nei confronti degli ebrei, ma anche degli zingari e degli omosessuali – è evidente che la necessità di semplificare priva la vita delle sue infinite sfumature e l’individuo della sua salute psichica.

Occorre rilevare, inoltre, che le gradazioni di omosessualità, come di eterosessualità, sono così tante che non è facile definire un “tipo psicologico” omosessuale senza ricadere nella banalità. E questa semplificazione, inoltre, contribuisce a etichettare l’individuo attuando una forma di giudizio che genera la paura di dichiarare la propria natura. Lo scrittore francese André Gide ha, invece, centrato la sua opera nell’affermazione della propria libertà, al di fuori di vincoli morali e puritani, nel riconoscimento della verità interiore di se stessi accettando la propria omosessualità senza venir meno ai propri valori. Come lui stesso affermò nel lontano 1924, del resto, «l’omosessualità comporta ogni gradazione: dal platonismo alla lascivia, dall’abnegazione al sadismo, dalla sanità gaudiosa alla malinconia profonda. Inoltre, tra omosessualità esclusiva ed eterosessualità esclusiva esistono tutte le forme intermedie».

Bisognerebbe, quindi, abituare i propri figli, gli studenti, i bambini, i giovani, le nuove e le vecchie generazioni, i governati e i politici del futuro, a contemplare nella loro esistenza un ventaglio di possibilità enorme, seguendo la complessità dell’anima umana, piuttosto che limitarla con giudizi e divieti. Come sostiene Lingiardi, infatti, «Il mistero della sessualità umana non si esaurisce nei modelli teorici della psicoanalisi o della genetica: ogni discorso sulla sessualità deve fare i conti con la sua base poetica».

Mi piace pensare, quindi, che la ‘Famiglia arcobaleno’ possa istillare nei figli che vi crescono la spontaneità di una nuova ‘Poesia’.

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