Se già non lo avete fatto, correte a comprare in edicola questo numero speciale (luglio 23) di Vanity Fair, diretto da Michela Murgia, su richiesta di Simone Marchetti, direttore responsabile della rivista.

Troverete una cascata di articoli sul concetto di famiglia, anzi di famiglie, a firma degli e delle intellettuali e attivist* più interessanti della contemporaneità, da Chiara Valerio a Cathy La Torre, passando per Daria Bignardi, Daniela Collu, Emma Marrone, Emma Bonino, Alessia Arcolaci, Pasquale Quaranta e Maura Gancitano, insieme a tantissim* altr*.

Una carrellata di punti di vista (che sono ognuno la vista da un punto, come recita il Manifesto ReWriters per sottolineare l’importanza di ogni unicità) per mettere in ginocchio con gentilezza il pensiero unico. Quella visione stereotipata e ottusa che, invece di osservare, interpreta, invece di fare esperienza, giudica, invece di conoscere, nega.

Michela Murgia e le firme che ha scelto per raccontare
le nuove forme di famiglia

Un numero interessantissimo questo diretto eccezionalmente da Michela Murgia, che ci conduce tra le nuove forme di famiglia e ci fa riflettere sul senso più profondo del concetto di famiglia, aiutandoci a sfogliare le pagine della nostra mente per trasformare bugigattoli in panorami e gettare luce sul significato della vita, degli affetti, delle relazioni. Ma anche per scardinare le trappole di quelle fobie che ci impediscono di attraversare le nostre vite con pienezza e autenticità.

Sono felice di aver dato anche io il mio contributo per la parte social del progetto, insieme a Roberto Bolle, Barbara Alberti, Ariete, Rocco Siffredi, Luca Trapanese, e tantissimi altri ed altre, perché adesso è importante metterci la faccia.

E’ importante che tutti noi e tutte noi ci alziamo in piedi come Rosa Parks per dire #BASTA e mettere un argine alla violenza distruttiva che alcune parti politiche stanno agendo contro le famiglie non tradizionali, in particolare contro le famiglie omogenitoriali, alle quali appartiene anche la mia.

Quando Valeria Vantaggi di Vanity, venuta alla presentazione milanese di Nata con noi, mi ha chiesto un contributo, non ho esitato: sto infatti portando in giro per l’Italia (dal Senato a Roma fino a Catania, passando per Milano, Firenze, Livorno, Lecce, etc) il primo libro italiano su una storia di famiglia omogenitoriale al femminile che, sfidando reticenze, timori e dubbi, ho firmato con mia moglie Rory Cappelli per contribuire a creare narrazione e rappresentazione su questo tipo di famiglie.

Come ho scritto per Prima Comunicazione, l’accanimento contro le famiglie composte da genitori omosessuali mi pare un agito preistorico, un gesto apotropaico che immola il capretto sull’altare per contenere l’angoscia sociale. Oggi l’angoscia riguarda non l’omosessualità ma la manipolazione della vita: il fatto che la nostra specie, per la prima volta da quando abita la Terra, può riprodursi artificialmente.

Il tema c’è, non c’è che dire, ma è bioetico e non riguarda in alcun modo l’orientamento sessuale: stiamo decisamente sbagliando il focus.

Sappiamo infatti che solo il 2% di coppie omosessuali ricorre a Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) o alla Gestazione Per Altri (PMA), il resto concerne coppie eterosessuali. Quindi perché prendersela con le famiglie arcobaleno? E’ semplice: sono le uniche che si vedono. Le altre, infatti, possono tranquillamente non dire o nascondere il fatto di essersi riprodotte grazie a gameti esterni alla coppia. Ecco quindi che il bersaglio diventa l’unico visibile.

Altro tema che sto portando in tour con Nata con noi è quello della semplicistica assimilazione tra famiglie omogenitoriali maschili e femminili: le loro rappresentazioni hanno un impatto completamente differente sul nostro immaginario. Il potere rivoluzionario delle coppie di papà è infatti infinitamente maggiore rispetto a quello delle coppie di mamme.

E non solamente perché due uomini devono necessariamente ricorrere alla GPA (che non si chiama utero in affitto perché una donazione non può essere definita per i rischi potenziali della sua deriva: sarebbe come confondere donazione di organi con traffico di organi).

Il motivo è un altro, secondo me: mentre i figli o figlie sono da sempre stati cresciuti dalle donne (mamme, zie, nonne), la figura del papà invece è recentissima. Possiamo dire che fino agli anni ’70 erano tutti dei donatori: guai a spingere passeggini o cambiare pannolini, pena la messa in discussione di virilità e autorevolezza.

Immaginatevi, quindi riuscire ad integrare nella propria mente l’esistenza di ben due papà e senza alcuna mamma. Insomma, correte in edicola, e intanto vi lascio il link social di Vanity Fair, dove seguire le bellissime dichiarazioni sulla famiglia di chi ha avuto il coraggio di metterci la faccia!

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