Ma voi ci avevate mai pensato che non esistono statue, in Italia, dedicate a donne? Io no, e secondo me nemmeno tantə di voi. Com’è possibile che non ci abbia mai fatto caso, io, laureata in gender studies quando ancora non esistevano cattedre dedicate a questi studi, io, che negli anni ’70 mi annoiavo ai gruppi femministi che teneva settimanalmente mia madre quando l’avrei voluta tutta per me a giocare, ottenne (altro che autocoscienza), io che ho dedicato una vita, e vari giornali fondati, a scrivere di donne, della loro scomparsa dalla rappresentazione, che ho lavorato con impegno per dare visibilità a donne di tutti i tipi, che ho fondato un giornale, ReWriters, con la mission di riscrivere un nuovo immaginario che comprendesse la realtà così com’è, fatta di uomini e donne, e persone LGBTQI+, che ho speso romanzi, saggi, articoli a sostegno di ogni esclusione, di ogni discriminazione, che ho condotto e partecipato a convegni, congressi e speach dedicati al pensiero femminile, divergente, creativo, all’ecofemminismo, al pensiero della differenza. Mah. Eppure non me n’ero accorta.

Questo fatto – il non accorgersene – è per me rivelatore di tutto: lo definirei una sottomissione sociale introiettata, inconsapevole: terrificante.

A proposito, la notizia l’avete, vero? A Milano è stata inaugurata la prima statua in città intitolata ad una donna, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, eroina e filantropa del Risorgimento che partecipò alle cinque giornate di Milano. La statua si trova in piazza Belgioioso ed è stata svelata dal sindaco, Giuseppe Sala.

In realtà è una bugia, perché mi risulta che, proprio a Milano, nel settembre del 2019 sia stata inaugurata la statua omaggio a Rachele Bianchi, artista e scultrice milanese scomparsa nel 2018. È stato il figlio a donare l’opera, una statua che rappresenta una donna realizzata in bronzo, alta 3,6 metri.

Nel resto d’Europa c’è Marie Curie in Polonia, la regina Vittoria in Gran Bretagna, ma anche Budicca, regina avversaria di Roma, davanti al Parlamento inglese, Giovanna d’Arco in Francia. 

Stefania Doglioli, del Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile APS, nel giugno 2020 aveva detto a Vanity Fair che “C’è un monumento dedicato ai caduti che sono quasi sempre solo maschi quando invece, secondo i dati dell’Anpi, ci sono 35.000 donne riconosciute partigiane combattenti, 4.653 donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 2.756 deportate nei lager tedeschi e 2.900 donne giustiziate o uccise in combattimento”. Di loro nessun monumento commemorativo e chi ce l’ha come Rose Montmasson, moglie di Francesco Crispi e unica partecipante femminile alla spedizione dei Mille, è tre passi indietro rispetto al marito.

Consiglio di dare un occhio al progetto Monumenta Italia, proprio su questo tema: una call rivolta a tutti i comuni che vorranno aderire, partendo dalla consapevolezza che la brutalità dei fatti violenti ai danni di donne che ogni giorno le cronache ci narrano non siano un fatto emergenziale ma l’inevitabile conseguenza di una cultura che lega al femminile un disvalore: se la donna è una nullità anche un crimine ai suoi danni è un atto privo di importanza.

E allora, dai, censiamo le statue di donne presenti sul territorio: esistono? Dove, chi? Facciamo visitare classi di scuola primaria e secondaria di I° grado a monumenti cittadini dedicati a uomini illustri mentre magari un’artista di strada si presenta – immobile – come se fosse la statua di una donna illustre che si anima e racconta la sua storia: “Sono Rosa Luxemburg, intellettuale libertaria e vittima del nazismo”; “Sono Rita Levi Montalcini e ho dedicato la mia vita alla scienza”; “Sono Rita Montagnana, ho preso parte alla Resistenza, alla Costituente e ho inventato la festa delle mimose”…

Anita Garibaldi – nemmeno si chiamava così – la conosciamo perché compagna di un uomo, dice Maria Pia Ercolini presidente Toponomastica femminile, il busto di Colombia Antonietti ricorda una donna vestiva da uomo: l’eroismo è termine considerato virile, già il termine eroina è un diminutivo. “Per le strade la situazione è più evidente perché c’è una catalogazione. Da quando siamo partite nel 2012 a Roma il rapporto era 100 strade maschili e 7,5 femminili, adesso siamo a 8,6 su 16mila strade. A Napoli ci deve essere un nome femminile in più rispetto agli uomini nelle intitolazioni delle strade”.

La cosa più assurda è che oltre il 50% delle intitolazioni femminili è dedicato a sante e madonne: dove sono le scienziate, le politiche (Nilde Jotti si salva), i nomi di donne che hanno cambiato la storia? Forse è accettabile ricordare artiste e letterate? Causa Covid, l’altranno è saltata la via dedicata a Plautilla, a Roma, a cui il Premio Strega Melania Mazzucco ha dedicato un libro straordinario, “L’archittrice”, prima architetta della storia.

La mia è una chiamata: chiunque voglia raccontare una donna degna di aspirare a un monumento pubblico – viva, morta, antica o contemporanea non importa – mi scriva a direzione@rewriters.it: come direttrice di un giornale che si occupa esclusivamente di riscrittura dell’immaginario (abbiamo un blog dedicato alle inventrici donne, ma aprimanone altri!), sento la responsabilità di prendere in carico questo tema come priorità. Grazie.

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