Già il luogo è evocativo, l’Hôtel de Ville di Parigi, il bellissimo monumento storico vicino alla Senna che ospita il municipio della città. E non è un caso se la bella mostra della fotografa Sélène de Condat, Les artisans de la propreté, è stata inaugurata proprio qui, alla presenza del sindaco Anne Hidalgo: si tratta di un lavoro che ha per soggetto gli “artigiani della pulizia” della capitale, e a loro è dedicato questo toccante omaggio di un’artista coraggiosa. De Codat, infatti, ha trascorso un anno della sua vita insieme a questi uomini e donne che, con le loro scope, le loro tute, le loro spazzatrici avveniristiche, il loro sudore e la loro stanchezza, di giorno e di notte fanno brillare strade, vicoletti, piazzali e boulevard della Ville Lumiere.

Con questa mostra la città ha voluto ringraziare i suoi netturbini che, dopo i tragici eventi del 13 novembre scorso, hanno con pazienza ripulito la città dai terribili segni lasciati dagli attentati terroristici, “dimostrando un alto valore civico e umano”.

Per tutto il 2016 l’esposizione ruoterà nei venti arrondissement parigini, con grande soddisfazione dell’artista che dice: “I n inverno come in estate, le loro scope spazzano polvere, passi e i ricordi, e le loro mani magiche riescono a cancellare ogni vandalismo, anche quelli contro le preziose opere d’arte. Per questo li considero eroi moderni della nostra civiltà occidentale post-industriale, gli artefici dell’ecologia e i guardiani del patrimonio multisecolare parigino”.

Lo sguardo di Sélène de Condat si declina nei suoi scatti in un crescendo di suggestioni in cui si riesce a leggere l’esperienza nel campo delle arti dello spettacolo, durante la quale, giovanissima, già trovava ispirazione nella contrapposizione tra luce e ombra, consistenza e sfumatura, movimento e istante, così caro a Gaston Bachelard. I luoghi, i personaggi, gli oggetti delle sue fotografie raccontano frammenti di vite capaci di farsi icone e archetipi umanistici. La scelta del bianco e nero aiuta a rendere plastici i corpi e gli spazi e a formulare quel linguaggio universale in cui il tempo è eterno e avvolge intera l’umanità. In particolare, in questa mostra emerge lo stile inconfondibile dell’artista, per cui l’opera è aperta e continuamente in trasformazione, grazie all’interazione emotiva con i suoi spettatori.

Applausi dunque a questa fotografa irriverente e audace, vera paladina dei mestieri dimenticati, che fonda molta della sua ricerca sui contrasti simbolici del lavoro inteso come strumento e fine di ogni essere umano.

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