Michela Mariotto, PHD Candidate all’Universitat Autonoma de Barcelona, sta realizzando, all’interno del suo dottorato in Persona e Società nel Mondo Contemporaneo (attualizzazione di quello che fino a pochi anni fa era un dottorato in Psicologia Sociale) uno studio indipendente sulle famiglie di bambin* gender variant (gender-creative, gender expansive, di genere non conforme…).Ho avuto la fortuna di incontrarla e intervistarla.

L’esperienza di quest* bambin* l’ha raggiunta attraverso la narrazione dei loro genitori, i quali, in un dato momento della loro vita, si trovano a dover dare un senso (in primo luogo a se stessi, e poi a coloro che li circondano: famigliari, amici, insegnanti etc.) ad una esperienza che si fa fatica a comprendere con gli strumenti concettuali a disposizione di una persona “non addetta ai lavori” (naturalizzazione del genere, sistema  binario): ci racconta?

É un processo spesso molto duro, non sempre immediato, che può generare una serie di emozioni negative (dolore, senso di colpa, perdita, paura etc), soprattutto se  vissuto in completa solitudine, senza l’appoggio di specialisti  o di una rete sociale (penso ad associazioni di genitori presenti in diversi paesi, ma non in Italia). Ma è  un processo che in alcuni casi, genera anche una sorta di trasformazione ‘morale’ nei genitori che sentono, attraverso l’esperienza de* propri* figl*, di aver potuto ampliare le proprie prospettive e di aver maturato un migliore rapporto con le diversità in generale.

Scopo della ricerca è evidenziare le modalità con cui i genitori creano uno spazio concettuale in cui inserire l’esperienza del/la propri* figli* (a che referenti si appoggiano, quali escludono), che tipo di linguaggio usano, che emozioni provano e che strategie utilizzano per agevolare la vita de* propr* figl* oggi e in previsione del futuro.

Il punto di partenza per l’indagine è ovviamente la teoria critica femminista che, a mio avviso, permette un’osservazione più complessa di quelle relazioni che tradizionalmente si classificano all’interno del sistema sesso/genere, evidenziandone le relazioni di potere, le tensioni e le contraddizioni che produce. La parte empirica è composta principalmente da una serie di interviste fatte a famiglie catalane e italiane. In questo momento sto lavorando alla codificazione del materiale raccolto. La varianza di genere nell’infanzia viene spesso rappresentata dai media attraverso una narrativa unica, quella di bambin* che si identificano con il genere opposto a quello assegnato alla nascita e che concludono il loro percorso di transizione modificano il loro corpo attraverso l’assunzione di ormoni e la chirurgia. In realtà, le esperienze di quest* bambin*, pur coincidendo nella rottura con le norme riferite al genere, sono molto diverse una dall’altra e sono fortemente influenzate dalle negoziazioni che si producono tra le loro famiglie e le istituzioni del luogo in cui vivono. I genitori si trovano a dover dare un senso all’esperienza del/la propri* figli*, in primo luogo per sé stessi e poi per gli altri e per farlo si appoggiano ai discorsi disponibili in un dato luogo e momento. È un’operazione tutt’altro che semplice, dato che alla maggior parte di queste famiglie mancano informazioni  e referenti validi in cui riconoscere la propria esperienza. Molte volte i pediatri e gli psicologi interpellati banalizzano la varianza di genere, sostenendo che si tratta di una fase passeggera e che il tempo sarà un prezioso alleato per riportare tutto alla ‘normalità’. Se questo è vero in molti casi, c’è il rischio però che in questo modo non vengano prese in seria considerazione  le esperienze di quei/le bambin* che si identificano con persistenza in un genere diverso rispetto a quello assegnato, o che vivono il genere in maniera fluida, aumentando le probabilità per loro di sperimentare ansia e depressione.

La costruzione dell’identità di genere richiede invece il gioco, la sperimentazione, il questionamento, l’incorporazione al mondo: è così?

Sì. Compito degli adulti e delle istituzioni è creare lo spazio che permetta di al/la bambin* di prendere consapevolezza della propria soggettività, un processo che richiede tempi diversi per ciascuna persona e che non è sempre facile da inquadrare come concetto e descrivere con le parole a disposizione. Per i genitori l’attesa può rappresentare una fonte di stress enorme e può essere molto difficile da gestire. E per le persone con cui le famiglie interagiscono, la scuola, i club sportivi, gli amici, i parenti, la varianza di genere come esperienza è difficile persino da interpretare. Si pensa alla fase, a un capriccio passeggero, a un comportamento ribelle, mentre in realtà l’identificazione con un genere diverso rispetto a quello assegnato è un esperienza reale come quella di qualsiasi altra persona ed è pertanto degna di considerazione e rispetto. Per questo è necessario che venga fatta più informazione, in modo che soprattutto le persone che hanno a che fare con i/le bambin* e gli/le adolescenti possano accompagnarl* nel miglior modo possibile e con le competenze richieste.

La Spagna è tra i Paesi più avanzati al mondo sul tema: ci racconta?

La Catalunya, che è la regione spagnola in cui sto svolgendo la mia ricerca, ha negli ultimi anni riconosciuto l’esigenza manifestata dai collettivi LGBTI di realizzare delle politiche sociali mirate a garantire i diritti delle persone LGBTI e a sradicare l’omo/transfobia nei vari ambiti della società (educazione, intrattenimento, media etc.), materializzandole in alcuni provvedimenti legislativi, tra cui la  recente legge regionale del 10 ottobre 2014. Questa legge e alcuni decreti successivi dispongono ad esempio che nelle scuole, partendo già dalla scuola primaria, si implementino dei programmi per l’uguaglianza di genere, il rispetto della diversità sessuale e di genere e la prevenzione di comportamenti omofobi e transfobici. Come risultato di questi strumenti legislativi, ad esempio, per quanto riguarda il caso che qui discutiamo, il dipartimento dell’insegnamento della regione catalana ha emesso un protocollo specifico per le scuole che, partendo dal presupposto che l’ambiente scolastico debba essere accogliente e sicuro per tutt* gli/le student* indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale, regola in maniera specifica il caso in cui uno/a student* sia gender variant. Il protocollo prevede in questo caso che  lui/lei dovrà essere trattat* secondo il genere sentito da tutta la comunità scolastica, chiamat* con il nome scelto, gli/le sarà permesso utilizzare il bagno e lo spogliatoio in cui si sente più a suo agio, potrà indossare l’uniforme che preferisce e la scuola dovrà adeguare tutti i documenti scolastici al genere sentito. Affinché questi  interventi siano realmente efficaci è prevista un’azione anche su un piano più amplio, quello della  comunità educativa, che deve essere obbligatoriamente informata e formata sulla diversità di genere nell’infanzia  e sensibilizzata sulla prevenzione/intervento nel caso di bullismo scolastico per diversità sessuale e di genere.

Perché invece l’Italia così indietro?

In Italia ad oggi non c’è nulla di simile. Ci sono stati dei casi in cui le famiglie hanno chiesto di sostenere la transizione sociale del/la propri* figli* nella scuola. In alcune circostanze la richiesta dei genitori è stata accettata senza problemi, in altre sono state accettate alcune condizioni (utilizzo del nuovo nome/pronome scelto), ma negate altre (utilizzo dei bagni, divisa). In nessun caso è stato possibile il cambio del nome sul registro e sui documenti scolastici. Non possiamo permettere di lasciare al  buon senso degli insegnanti o dei presidi, e quindi al caso, la gestione della varianza di genere nell’infanzia. È nell’età evolutiva che le difficoltà legate all’identità di genere iniziano ed essere espresse con maggiore intensità, ed è proprio in questa fascia di età che si rende necessario intervenire su differenti livelli per creare quelle condizioni che permettano un migliore adattamento e uno sviluppo sereno dell’identità sessuale. La sensazione che ho è che il movimento femminista, pur contando sull’attività di persone molto preparate e attive, non sia ancora riuscito a conquistare quello spazio politico che le permetta di contribuire concretamente a un cambio in tema di diritti civili. Il femminismo, inteso come punto di partenza su cui costruire delle politiche di inclusione per le minoranze sulla base del genere, orientamento sessuale, abilità, classe, razza etc., viene ancora visto come un antagonista, o qualcosa che può occupare solo gli spazi liminari della politica rendendo molto difficile cambiare le cose.

In una recente indagine la società civile spagnola si è rivelata particolarmente aperta e a favore delle politiche di sostegno per le persone LGBTI: merito di Zapatero?

Durante il suo governo, ha materializzato questa inclinazione emanando diverse leggi mirate a garantire a tutte le persone la libertà di scelta basata su principi di laicità ed eticità. Sono di questo governo la legge che prevede il matrimonio di coppie dello stesso sesso (con diritto all’adozione), la fecondazione assistita, la rimozione dell’obbligo dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e, per quel che riguarda la varianza di genere, la Ley de Identidad de género (Ley 3/2007). A partire da lì, ogni regione ha poi promulgato leggi regionali migliorative, tra cui quella Catalana del 2014, che ha sviluppato una serie di provvedimenti volti a tutelare la salute e i diritti delle persone LGBTI. La città di Barcellona in particolare, che ricordiamo dal 2015 ha una sindaca donna bisessuale, ha promosso l’implementazione di politiche LGBTI attraverso un modello secondo il quale  le istituzioni si pongono come obbiettivo non solo quello di rafforzare le proprie strutture e competenze, ma di costruire strutture amministrative e organizzative in cui la  partecipazione delle stesse persone LGBTI sia il requisito fondamentale. Penso all’Osservatorio Catalano contro l’omo/transfobia, Trans*forma la Salut, una piattaforma per l’implementazione di un modello di attenzione alla salute non patologizzante, Transit un centro per la salute delle persone trans, finanziato pubblicamente, che offre gratuitamente supporto alle persone trans e alle loro famiglie e formazione nelle scuole, sempre secondo una prospettiva depatologizzante. Il comune di Barcellona ha una consigliera del femminismo e LGBTI e qualche settimana fa, Ada Colau ha inaugurato il primo centro ufficiale LGBTI in Catalunya, il secondo a livello nazionale dopo quello di Madrid. Questo centro ha l’obbiettivo di garantire che i diritti delle persone LGBTI siano rispettati, mentre offre appoggio legale, sociale e sanitario a chi lo richiede e promuove iniziative culturali e artistiche in tutta la regione.

In Italia abbiamo il cattolicesimo: secondo lei c’entra?

Ampia visibilità e potere politico hanno effettivamente quei gruppi cattolici e conservatori che si proclamano oppositori di una fantomatica ‘ideologia gender’, che in nome di un supposto ordine naturale dell’esistenza finiscono con il limitare o negare completamente i diritti delle persone LGBTI e i diritti delle donne. L’obbiettivo degli studi di genere e dei movimenti femministi non è quello di indottrinare le persone, ma  quello di cercare delle forme di libertà politica che permettano di vivere in un mondo vivibile ed equo il proprio genere senza discriminazioni o paura. Per farlo occorre che la società civile e le istituzioni inizino a problematizzare la corrispondenza tra il genere, il sesso e l’orientamento sessuale, mettendo in discussione la naturalità di queste categorie e quindi le strutture sociali che la sostengono. È un lavoro che richiede visione, apertura e totale collaborazione della politica. Per quello che vedo, l’Italia non si trova esattamente nel momento storico più propizio. Il nostro Paese nell’indice elaborato da Ilga, una delle più importanti Ong per i diritti umani LGBTI che misura  il progresso verso l’uguaglianza e la parità dei diritti per le persone LGBTI, è rimasta a poco meno del 27%, punteggio che vale al nostro Paese il 32esimo posto su 49 Paesi. La Spagna, nella stessa classifica, occupa la posizione numero 9, con il 67%.

Che cosa esiste in Italia dal punto di vista di produzione letteraria-artistica per cambiare l’immaginario? E a livello di studi? E sul piano delle leggi?

Della varianza di genere dell’infanzia in Italia se ne parla pochissimo. Non che non ci siano degli studi o delle competenze. Ci sono professionisti della salute molto validi che da anni si dedicano a cercare delle soluzioni efficaci per poter aiutare nel miglior modo possibile questi bambin* e le loro famiglie,  ma le loro ricerche non vanno oltre gli aspetti prettamente medici. Sul piano legislativo, in Italia la transessualità è regolata dalla legge 164/1982, una legge che a suo tempo era una delle più avanzate in Europa. Oggi questa legge ha più di trent’anni e presenta delle lacune importanti. Tra queste, una  è la questione dei minori. Anche se la legge infatti non  prevede la maggiore età come requisito per poter accedere ai diritti che rivendica, di fatto questo resta implicitamente imposto. Questo vuoto legislativo viene quindi colmato nelle aule dei Tribunali dove i minorenni, con le loro famiglie, cercano di ottenere per via giudiziaria il riconoscimento di diritti negati dalla legislazione italiana.Penso ad esempio al diritto al cambio del nome sui propri documenti, incluso quelli scolastici, la somministrazione dei bloccanti e/o degli ormoni sessuali.

E su quello della comunicazione-visibilità?

Fino a un paio di anni fa, gli unici articoli che parlavano di varianza di genere erano articoli tradotti da siti di informazione stranieri, in particolare americani o inglesi, dando la sensazione che si trattasse quasi di qualcosa di esotico, o quantomeno bizzarro, che  non interessava l’Italia e gli italiani. Ultimamente invece si possono trovare degli articoli, incluso dei reportage dedicati a* bambin* gender variant e alle loro famiglie in Italia. Non tutti però descrivono la varianza di genere evidenziandone la complessità. Si preferisce semplificare il discorso evidenziando l’incongruenza tra il corpo del/la bambin* e la sua espressione e/o identità di genere, e come le sue preferenze in fatto di giochi, amicizie, vestiti corrispondano alle aspettative sociali per i/le bambin* dell’altro sesso . Le realtà descritte sono in genere realtà binarie, fortemente stereotipate e il linguaggio utilizzato è spesso medico. Si parla quasi sempre di corpo sbagliato e si continua a vincolare la varianza di genere alla questione cerebrale. Un’attenzione morbosa poi viene posta al momento della transizione, in particolare quella medica, che viene presentata come l’unica soluzione al “problema” di cui si sta discutendo. L’utilizzo di ormoni bloccanti in fase puberale viene descritto con toni fortemente allarmisti, come se l’innocenza del/la bambin* fosse usurpata da genitori irresponsabili e medici complici. In realtà l’utilizzo dei bloccanti, che sono completamente reversibili (cioè quando si sospende la loro assunzione, lo sviluppo puberale riprende esattamente dal punto in cui è stato interrotto), veniva già raccomandato dalla Endocrine Society nel 2009, per i  benefici che il loro utilizzo garantiva in termini di benessere psico-fisico nel caso di varianza di genere nell’età puberale.

Che studi esistono in Europa? Come si posiziona rispetto al resto del mondo?

Da un punto di vista clinico, i centri più importanti di ricerca in merito alla varianza di genere nell’infanzia sono il Tavistock centre di Londra e il VU Medical Centre di Amsterdam. Questo centro, attivo dal 1987 sotto la direzione della Dott.ssa Cohen- Kettenis, è noto per aver sviluppato un tipo di modello di presa in carico definito osservazione e attesa. Questo modello si sostiene sul fatto che per molti de* bambin* gender variant, una volta raggiunta la pubertà, l’identità di genere potrebbe riallinearsi con il sesso biologico, senza quindi necessariamente sviluppare una condizione di transessualità. Si consiglia quindi di rimandare al momento della pubertà quella che si definisce ‘transizione sociale’, cioè il processo con cui una persona potrebbe scegliere di vivere liberamente secondo il genere cui sente di appartenere e non quello assegnato alla nascita. La transizione sociale è assolutamente reversibile e si realizza generalmente per mezzo del cambio di nome e  attraverso l’uso di vestiti. accessori e taglio di capelli che si considerano appropriati per il genere opposto a quello assegnato alla nascita, in qualsiasi contesto  sociale (famiglia, scuola, attività sportive, etc.). Nel Nord America prevale invece un diverso modello di assistenza ai minori gender variant, che si definisce affirming model. Questo modello non  prevede l’attesa fino alla pubertà, ma un ascolto attento dei bisogni espressi dalla persona minorenne, considerata come l’unica esperta nel definire  la propria espressione e identità di genere. Compito dei genitori e delle persone vicine al/la bambin* è principalmente quello di ridurre la sua sofferenza, di rafforzare la sua resilienza e di creare quelle condizioni sociali che gli/le permettano di vivere serenamente e in libertà la propria identità di genere. Qualora poi il/la bambin* verbalizzasse il bisogno di poter esprimersi nel genere opposto rispetto a quello assegnato, questo modello contempla la possibilità di transitare socialmente anche da piccoli, senza necessità di attendere la pubertà.

Quale modello è migliore?

È difficile stabilire quale modello di supporto sia migliore dell’altro. La varianza di genere nell’infanzia è diventata oggetto di studio già a partire dal secondo dopoguerra, ma gli strumenti analitici utilizzati all’epoca sono considerati attualmente imprecisi e i lavori svolti segnati da tali pregiudizi rispetto alle differenze di sesso/genere e orientamento sessuale da non renderli affidabili. La maggior parte delle ricerche sono piuttosto recenti e mancano pertanto degli studi longitudinali completi che permettano di seguire l’evoluzione de* bambin* gender variant da quando sono piccoli all’età adulta, evidenziando i benefici e gli svantaggi di quello che è l’aspetto in cui più divergono i due modelli, quello relativo alla possibilità di  transitare sociale prima dell’adolescenza. Io credo personalmente che gli studi sulla varianza di genere, in particolare quelli sull’infanzia, non possano prescindere da una riflessione critica su quello che significa essere maschi o femmine al giorno d’oggi e su come venga attuata la  normalizzazione del genere. Non si tratta infatti solo di far star bene il/la bambin* gender variant e di farl* sentire accettat* (dalla famiglia o dalla scuola ad esempio), ma di agire a livello strutturale, mettendo in questione quella stessa norma che fa sì che la varianza di genere  sia ancora oggi una condizione  patologica e quindi da stigmatizzare. Che è poi la stessa che stabilisce quali modelli di mascolinità e femminilità siano ideali in una società e che sono fortemente limitanti per tutti.

Nel mondo occidentale in cui viviamo noi, la varianza di genere viene ancora vista come qualcosa di strano, bizzarro, che necessita del parere di un esperto, legittimato a fare una diagnosi..

Il paradigma medico è il significante principale della transessualità, quello che ci permette non solo di interpretarla ma che ci offre  anche tutte le risposte. Se ampliamo lo sguardo oltre i nostri confini, vediamo invece che altre culture vantano una lunga storia di accettazione della varianza di genere e un’apertura rispetto a quello che si definisce ‘terzo genere’  (hijra, mahu, muxe, two spirtis, etc.). Alcune di queste forme di inclusione, considerate a suo tempo  dai colonizzatori europei e dai missionari come delle manifestazioni immorali, sono state soppresse; altre sopravvivono invece fino ai giorni nostri. Sono culture in cui sono riconosciute più di due identità di genere, per cui i /le bambin* che crescono in un genere differente, nonostante le loro identità diverse non siano sempre ugualmente celebrate dai genitori, vengono comunque accettat* nella società come parte della diversità e non come malati* da curare o da nascondere. L’idea del/la bambin* gender variant come ‘problematic*’ è quindi qualcosa di tipicamente moderno e peculiarmente occidentale che dovrebbe iniziare a essere riconsiderato.

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