Se stai leggendo, l’hai vista, quindi tralascio trama, cast, e dettagli di Mercoledì, tutte info ormai in tuo possesso. Mi concentrerò sul successo della serie (record del maggior numero di ore viste in una settimana per una serie Netflix in lingua inglese, superando il precedente record detenuto dalla quarta stagione di Stranger Things), che ha coinvolto con entusiasmo anche me, cercando di offrire il mio punto di vista, sperando di ricevere commenti per innescare un dialogo e un confronto.

Il contesto post-millennials in cui sono rivisitate le celebri vignette anticonformiste di Charles Addams del 1938 (poi diventate serie tv, cartoni animati, e i due film iconici di Barry Sonnenfeld con Christina Ricci) trasforma il potere rivoluzionario che la storia vantava negli anni ’60 in un potere confermativo del trend socioculturale dell’oggi, in cui si possono (anzi: si devono) abbracciare le proprie differenze e unicità, vivendo e vivendosi in piena autonomia senza sentire il peso delle imposizioni sociali: tutti strani, tutti emarginati, finalmente tutti uguali.

Se il Codice Hays degli anni ’60, in America, vietava tra l’altro qualsiasi riferimento al sesso, e Morticia per prima diventava emblema di totale rottura rispetto ai canoni casalinghi nei quali venivano relegate le donne, e con lei le effusioni romantiche della coppia, adesso Mercoledì diventa leader dei reietti, degli sfigati, ossia di quelle minoranze che stanno riscrivendo la storia, veri protagonisti della contemporaneità, alla faccia del referent man, ormai cimelio da soffitta.

Tra le genialate degli sceneggiatori, soprattutto quella di parlare ai più giovani, cavalcando i successi dei teen drama derivativi e strizzando l’occhio ai fan di Harry Potter. Il tocco di goth, infatti, non è solamente dovuto alla filologia dell’origine, ma calza a pennello sulla gen Z, impegnata in una difficile e dolorosa partenogenesi, tradita dagli adulti di riferimento (che infatti, nella serie, sono sempre genitori nemici dei figli).

Credo siano stati gli otto episodi (solo quattro diretti da Tim Burton, il quale è anche produttore esecutivo con Alfred Gough e Miles Millar, gli ideatori dello show) a scegliere il regista strano per eccellenza, e non viceversa: una liaison ineluttabile.

Le otto puntate da 50 minuti (stessa durata di una seduta di psicoterapia, sottolineo per il medesimo potere di addizione e incantamento) vedono la sedicenne Jenna Ortega (nella realtà ventenne, sbocciata nell’horror X- A sexy Horror story) capovolgere la Cristina Ricci a cui eravamo abituati e diventare una leader: sexy, desideratissima, carismatica, inarrivabile.

A tal punto che il ballo di Mercoledì alla festa della Nevermore Academy (inventato dall’attrice prima che i coreografi potessero condurla) è diventato virale sui social, imitato trasversalmente da grandi e piccini, da anonimi e dai cosiddetti VIP (l’ultimo della pattinatrice artistica russa Kamila Valieva), sia nella versione originale di Goo Goo Muck dei The Cramps, sia in quella social di Bloody Mary di Lady Gaga, versione accelerata.

Diciamocelo, Mercoledì è un personaggio politico che rappresenta e rivendica il diritto di essere se stessi e se stesse: ally della comunità LGBTQIA+ (il suo migliore amico è figlio di due mamme), attratta da un narcisista maligno (il barista-mostro), vittima di eventi psicotici (le sue allucinazioni), refrattaria alle regole, afefobica (repulsione del contatto fisico), alessitimica (difficoltà a riconoscere ed esprimere il proprio stato emotivo) e in pieno conflitto generazionale: sul DSM sarebbe probabilmente inchiodata tra disturbo borderline di personalità, ADHD e Asperger.

A me ha commosso moltissimo lo sblocco del personaggio grazie all’abbraccio della sua compagna di stanza, capace di invocare una risposta affettiva (si mormora anticipazione di una storia d’amore lesbica).

Ma sono rimasta piacevolmente stupita dall’intera rivisitazione del personaggio, adesso finalmente dotato di tridimensionalità, ganglio in una eziologia sensata, finalmente sottratto al non-sense tipico della sceneggiatura originaria. Geniali, comunque, tante trovate, prima tra tutte la risignificazione dell’iconico schiocco delle dita, gesto finalmente dotato di una funzione, ma anche l’approfondimento del rapporto con Mano.

Attendiamo anelanti il seguito!

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