Mi sono sottoposta a 5 colloqui conoscitivi con psicoterapeuti di 5 indirizzi differenti: Società Psicoanalitica Italiana (psicoanalisi freudiana), Istituto Beck (psicoterapia cognitivo-comportamentale), Centro Psicologico Monteverde (psicoterapia cognitivo-costruttivista), Centro Lucio Bini (psichiatria), Centro di Psicologia Dinamica (psicoterapia dinamico-relazionale), e in media ho speso 90 euro a colloquio (con Centro Bini è stato telefonico, vedi sotto). Avrei voluto incontrare anche psicoterapeuti biosistemici, bioenergetici, transazionali, gestaltici, ma i costi di questa inchiesta sarebbero diventati troppo onerosi.

Il mio obiettivo era ricostruire la situazione in cui si viene a trovare un potenziale paziente (chiamiamoli anche clienti, senza ipocrisie) che decide di intraprendere una psicoterapia, ossia di farsi carico dei costi (emotivi, psicologici, finanziari e di tempo) necessari per curare o alleviare la propria sofferenza. Bene, ciò che ne viene fuori, a mio avviso, è sconcertante.

  1. Poiché ogni colloquio conoscitivo ha un costo, per di più elevato, è abbastanza prevedibile che ci si affidi al primo che capita, magari su consiglio di amici, o di un passa-parola; questo fatto non mette nelle condizioni il paziente di compiere una scelta reale, responsabile, ma si tratta piuttosto di qualcosa che assomiglia a una delega tout court, un salto nel buio, un azzardo in cui il rischio del fallimento dell’impresa non è condiviso in termini di costi con il professionista;
  2. Il fatto che tale colloquio abbia un costo sottintende inoltre che lo psicoterapeuta stia già offrendo una prestazione: quale? Semplicemente quella di ascoltare? Non è un tantino sopravvalutata? E dove sta il servizio offerto? L’ascolto, per quanto benfatto, non riguarda forse solamente lo psicoterapeuta, il suo “farsi un’idea” del paziente che ha di fronte? Oppure la prestazione consiste nell’effettuare una diagnosi? Possibile in un solo incontro di circa 50 minuti? Nessuno, tranne l’Istituto Beck, mi ha fornito una diagnosi. Sono stata solamente ascoltata, e alla fine della seduta mi è stato sempre consigliato di cominciare una psicoterapia, ossia di fare quel salto nel buio. Mi parrebbe, al contrario, che il professionista dovrebbe impegnarsi a far comprendere al cliente in che cosa andrebbe ad investire i propri soldi, le proprie emozioni, le proprie speranze e il proprio tempo; a spiegare il metodo di lavoro usato, parlando delle possibilità della riuscita della cura, dell’eventuale rischio di impresa, della propria preparazione, e condividendo l’eventuale diagnosi del problema: il tutto, naturalmente, gratuitamente. Trovo in effetti paradossale quanto accade: è infatti lo psicoterapeuta che ha interesse a procacciarsi un cliente (per di più un cliente molto vantaggioso, dato che in media una psicoterapia consta di una seduta settimanale a 80-100 euro per circa 2-6 anni), e non il cliente a cominciare una cura proprio con quel professionista lì;
  3. Il costo del colloquio conoscitivo è inspiegabilmente a carico del paziente anche da un punto di vista psicologico, dato che, per come si svolge, al cliente è richiesto di affidarsi al professionista a scatola chiusa, raccontandogli elementi privati così intimi come lo è la sofferenza. Mi ripeto: dovrebbe funzionare all’inverso. E’ dovere dello psicoterapeuta rendersi affidabile al cliente attraverso la condivisione delle informazioni su di sé e sulla propria scuola di appartenenza, e solo poi il cliente può valutare se affidarsi, se investire le proprie risorse in quel professionista e in quella metodologia di cura;
  4. Infine, ogni psicoterapeuta appartiene ad un solo indirizzo teorico, ad una sola scuola di psicoterapia, e ovviamente intraprenderà le cure del cliente con il metodo della sua scuola, quando magari un disturbo può essere curato più efficacemente o velocemente attraverso altri approcci.

Pensate, uno psichiatra delle scuole sopra citate, ricercatore universitario, in un colloquio telefonico della durata di 2 minuti (cronometrata sul mio cellulare) mi ha consigliato “a intuito” (così si è espresso) di prendere dei farmaci: “A intuito mi pare che lei abbia bisogno di farmaci” (la frase esatta, poi mi ha consigliato una visita a pagamento). In base a quale diagnosi, caro signore? Lei fa diagnosi telefoniche? Ha previsto gli effetti di tale atteggiamento su un paziente gravemente malato, magari psicotico? Le pare un comportamento professionalmente e deontologicamente corretto?

Forse non tutti sanno che per diventare psicoterapeuti occorre laurearsi in medicina o psicologia e poi ottenere una specializzazione (almeno quadriennale) in psicoterapia (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162), presso università o istituti riconosciuti (con le procedure di cui all’articolo 3 del citato decreto). Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica (ad esempio, non possono consigliare o prescrivere farmaci). Tuttavia, siccome non tutti gli psicoterapeuti sono laureati in psicologia, le conoscenze e le competenze in campo psicologico possono essere più o meno sviluppate. Non solo: sono molto diversi anche il tipo di studi di specializzazione post lauream: una scuola di specializzazione medica non dà le stesse basi psicologiche di una scuola di specializzazione di tipo psicologico o di una scuola privata quadriennale in psicoterapia. Insomma, la professione viene esercitata da psicoterapeuti che di fatto hanno seguito percorsi formativi decisamente eterogenei, e l’unica cosa che accomuna queste persone è la rispondenza ai criteri definiti dalla legge.

Entrando ancora di più nello specifico, le scuole universitarie rilasciano una doppia qualifica, ossia sommano a quella di psicoterapeuta, quella della specializzazione specifica (es. psicologo clinico, neuropsichiatra, ecc.), e, udite udite, non richiedono che l’aspirante psicoterapeuta si sottoponga ad una psicoterapia: ne usciranno dunque professionisti con competenze molto diverse. Ancora più caleidoscopica la specializzazione ottenuta nelle scuole private, le quali si distinguono in base al differente indirizzo teorico a cui fanno riferimento (es. psicodinamico, cognitivo-comportamentale, sistemico, strategico, ecc.). Inoltre, molti degli attuali psicoterapeuti hanno ottenuto questo titolo grazie alle sanatorie previste dall’articolo 35 della legge 56/89, per cui ci sono psicologi non laureati in psicologia (ma ad es. in lettere o filosofia) o medici con specializzazioni di vario tipo. Per vostra informazione, all’interno dell’Albo professionale degli psicologi e dell’Albo professionale dei medici sono indicati gli psicologi e i medici autorizzati all’esercizio della psicoterapia. Vi prego, scegliete, e buona fortuna.