La mia stima per lo storytelling esistenziale emancipato e game-changing di Fedez l’ho espressa su questo giornale e non solo più volte.

Dopo aver dichiarato che “Fedez è un uomo del futuro: due volte padre, marito, mito sexy di molte ragazze, eppure piange in pubblico senza imbarazzo, parla delle sue crisi d’ansia, mette lo smalto sulle unghie, si dice indifferente quando suo figlio gioca con le bambole, ha sposato una bellissimissima che, intanto, si impegna su temi femministi e mostra la pancetta post partum ricordando che il corpo delle donne va bene com’è“, e dopo aver espresso la mia opinione sull’autofiction dei Ferragnez, capaci di fare ciò a cui aspirava D’Annunzio, “Fare della propria vita un’opera d’arte”, oggi vorrei sottolineare un nuovo tassello.

Del suo tumore ormai sa tutta l’Italia, e tutta l’Italia empatizza con lui (i pochi idioti che lo accusano di usare la malattia per autopromozione, per fortuna, sono, appunto, pochi). Me compresa, e rinnovo il mio messaggio di auguri, affidato alla diretta streaming con Saverio Tommasi:

Naturalmente, Fedez non è il solo ad essersi ammalato (la malattia, secondo il buddismo Nichiren, è una delle quattro sofferenze della vita che riguarda tutti e tutte, nessuno escluso), e per fortuna non è nemmeno l’unico ad aver parlato apertamente della sua malattia (Murgia e Baricco, tanto per citare due altri recenti coming out). Vengo al punto.

La malattia, nella nostra cultura, è considerata qualcosa di cui vergognarsi. La non corrispondenza con il modello sano e performante di un uomo o di una donna, agire comportamenti a-normali (non nella norma) o qualche modifica dell’aspetto fisico innescano la non compatibilità con la norma sociale che prevede uno standard.

Chi, più di Fedez, potrebbe vergognarsi, proprio lui, modello per un’intera generazione, padre ricco e bello di una famiglia perfetta?

E invece no, ed è così da sempre. Fedez esprime e mostra tutte le sue emozioni, sia quelle primarie, sia quelle secondarie (se seguite il suo Instagram, avrete in mente le sue varie esternazioni).

Lo abbiamo visto piangere come in questo scherzo di Le Iene, commuoversi per la paura della sclerosi multipla, urlare di rabbia contro i vertici RAI, e perfino in seduta dallo psicoterapeuta con la moglie (The Ferragnez).

Cercare e dare supporto, adesso, per affrontare il percorso della sua malattia, come dichiarato pubblicamente, è un’ulteriore tappa di riscrittura dell’immaginario, una contronarrazione che ci dice che, oltre ad essere felici, performanti, persone di successo, ricchi, belli, si può anche essere spaventati, tristi, angosciati, ansiosi, arrabbiati (ed altre emozioni negative), e perfino malati.

Fanculo al referent man, quindi, quel tizio maschio, bianco, cisgender, normoabile e presumibilmente sempre felice che non esiste se non negli algoritmi dell’intelligenza artificiale che, ormai è scienza, raccontano una realtà fasulla, esattamente come fanno gli stigmi, alimentando i falsi miti e credenze da cui discendono pregiudizi, stereotipi e convenzioni, ossia la parte disfunzionale del nostro vivere.

Se vogliamo per i nostri figli e le nostre figlie un mondo più equo e vero, capace di rappresentare la realtà così com’è, senza inventarne una a misura di referent man (come se il tizio fosse l’unico protagonista dell’esistenza), dobbiamo imparare da Fedez e da chi, come lui, di fatto distrugge i bias, mostrando le proprie fragilità, la propria umanità, le proprie fantasie, le proprie emozioni, tutte, i propri limiti che, di fatto, diventano orizzonti e forza reale.

Perchè l’eroe (eroina) è chi attraversa la propria esistenza a partire, come dice il nostro Manifesto, da consapevolezza e autenticità, l’arte più difficile da sviluppare.

Continua a leggere su ReWriters Magazine.