Omosessuali si nasce, lo afferma l’immunologa Antonella Viola che, con garbo, spiega a Roberto Vannacci – su sua richiesta – cosa dice la scienza nel merito. La dottoressa Viola prende anche un po’ in giro le caxxate del generale candidato, affermando che potrebbero essere le sue stesse, se si mettesse a parlare di forze armate invece che di scienza. Dunque non c’è un gene dell’omosessualità, dice Viola basandosi sullo studio del 2019 pubblicato sulla rivista Science, e essere gay non è nè genetico nè contagioso (gay, sì, parliamo di maschi, perchè l’orientamento sessuale femminile nessuno lo studia, sottolinea l’immunologa).

“E’ sicuro per la scienza che l’orientamento sessuale maschile non sia una scelta – conclude Viola – e ciò che l’ambiente esterno può fare è reprimere oppure dare la possibilità di esprimere il proprio orientamento sessuale”.

“Biologia dell’omosessualità”. L’orientamento sessuale

Eppure ci si nasce – consiglio la lettura del libro Biologia dell’omosessualità di Jacques Balthazart (Ed. Bollati Boringhieri) – perchè l’orientamento sessuale dipende dall’ambiente biologico, ossia da una combinazione dei geni che ereditiamo con ciò che accade nel ventre materno, ormoni, modifiche nutrizionali, infezioni, etc.

Intanto il Papa la fa fuori dal vaso, a cominciare dalle terminologie (frociaggine). Forse, dopo aver capito che insistere con la tesi che l’omosessualità sia contro natura equivale a dire che l’epilessia arrivi dal demonio, ci ha ripensato, visti i tempi. Tempi cupi, in effetti, per l’Italia, tra i 9 Paesi dei 27 Ue che non firmano la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtqia+.

 

 

Una sorta di disperato tentativo, quello dei vecchi poteri conservatori, di fermare il vento con le dita, mentre il nuovo mondo, unito dagli obiettivi ESG dell’Agenda ONU 2030, coopera per costruire società più eque e con pari opportunità. L’operazione planetaria che unisce istituzioni, governi, organizzazioni, terzo settore e società civile in nome dei 17 obiettivi condivisi per salvare la nostra specie e la sua casa, si chiama sostenibilità sociale: qualcuno può fare una lezione a Meloni, Vannacci e Papa?

Perchè si sa, ce lo insegna la Storia, che la violenza si contrasta con la conoscenza, con la consapevolezza e la comprensione profonda del senso e del significato di essere al mondo

(“Nessun regno è più grande di questa piccola cosa che è la vita“, cantano Vecchioni e Alfa).

 

 

Ricordo che secondo il Census Bureau americano, entro il 2045 non avrà più senso parlare di minoranze, perché la società cui andiamo incontro sarà talmente complessa da non avere più una maggioranza così come la intendiamo oggi, bensì un insieme ricchissimo talenti unici.

Miliardi di dollari l’anno vengono spesi in USA per insegnare ai dipendenti e alle dipendenti come riconoscere e mettere in discussione i loro pregiudizi. E’ un budget che serve ad attirare giovani e creare team compatti. Il 60% dei brand considera la valorizzazione dell’unicità come obiettivo principale e il 70% si impegna attivamente sull’integrazione di queste unicità.

La corsa verso il mondo nuovo

Numeri enormi che non parlano di una lotta contro qualcosa. Al contrario, parlano di una corsa verso un mondo nuovo. Le possibilità di sviluppo sono grandi quanto i numeri: riconoscere e affrontare queste sfide non è solo un imperativo etico, ma anche una necessità strategica per le organizzazioni e i governi che operano nell’attuale panorama globale complesso e interconnesso.

Se non vogliamo che l’Italia sia spazzata via dalla Storia ma, al contrario, vi entri a pieno titolo e magari al timone di un’Europa che vuole evolvere, bisogna andare a votare, esercitare il proprio diritto preziosissimo. A chi fosse ancora indeciso se, invece, andarsene al mare, è giugnto il momento di (ri)vedere “C’è ancora domani“:

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