Il 10 agosto 2018 il nostro Codice in materia di protezione dei dati personali si è aggiornato e, tra le altre cose, ha rinforzato il concetto di dignità della persona. In un mondo social in cui siamo tutti voyeur ed esibizionisti, il rapporto tra la libertà di manifestazione del pensiero e il rispetto della dignità della persona diventa un rompicapo.

Riccardo Acciai, direttore del dipartimento Libertà di manifestazione del pensiero e cyberbullismo del Garante per la protezione dei dati personali, interviene a fare luce: «Le fake news, gli hate speech, il cyberbullismo, sono fenomeni che ci costringono a porci nuove domande sulla libertà di manifestazione del pensiero».

Oggi, infatti, chiunque riesce a esprimere liberamente il proprio pensiero: dalla rotativa si è passati a Internet, dalle notizie di interesse pubblico siamo nell’epoca dello show della vita privata sui social, da giornali, radio e TV siamo adesso dipendenti dallo smartphone, un contenuto che prima si esauriva con la sua stessa diffusione oggi diviene imperituro grazie al web, foto e video sono capaci di sostituire la notizia espositiva, gli interpreti delle varie forme di manifestazione del pensiero che prima erano giornalisti e commentatori, oggi sono i singoli utenti: «A tale evoluzione l’ordinamento ha tentato di porre, di volta in volta, dei rimedi, sia sotto il profilo normativo, sia sotto quello dell’adeguamento interpretativo. Ad esempio, il Garante è intervenuto sin dal 2008 per ordinare la deindicizzazione dai motori di ricerca di articoli ormai obsoleti e ritenuti lesivi dai singoli interessati e nel 2012 la Corte di Cassazione ha chiaramente riconosciuto il diritto delle persone coinvolte di vedere aggiornate nei vari siti online le informazioni a loro relative che avessero nel frattempo subito un’evoluzione».

Nel 2014, inoltre, la sentenza della Corte di giustizia dell’UE sul caso “Google Spain” ha chiarito il ruolo e i doveri dei motori di ricerca: «Sì, ed ha affermato con forza il diritto degli interessati, al ricorrere di determinate circostanze, di veder deindicizzati i contenuti non aggiornati. Pochi mesi dopo ulteriori precisazioni e adattamenti al riguardo sono stati indicati dal Gruppo dei Garanti europei con specifiche linee-guida, dando così ulteriore consistenza a quello che oggi viene comunemente indicato come diritto all’oblio».

Nonostante questa relativa rapidità di risposta normativa, spiega Acciai, ci troviamo di fronte a fenomeni che rischiano di ledere il rispetto della dignità della persona: «L’anonimato della Rete, il senso di impunità da questo stimolato, l’assenza, ancora una volta, di filtri, riempie gli scambi via web di contenuti sempre più duri, sempre più violenti, che, a seconda delle circostanze, danno origine a fenomeni di fake news, di hate speech, di cyberbullismo o, più in generale, di denigrazione o di odio per il prossimo».

Quali, le armi a disposizione per affrontare queste nuove sfide? «Anche in questa fase l’ordinamento sta rispondendo con una certa tempestività. Il Regolamento UE n. 679, ad esempio, con la sua diretta applicabilità all’interno di tutti i Paesi dell’Unione europea, uniforma il quadro normativo di riferimento e contribuisce a rafforzare un’area giuridica comune che può, in quanto tale, ottenere riconoscimento anche al di fuori di essa. Sotto il profilo operativo responsabilizza coloro che trattano dati (principio dell’“accountability”), chiedendo a essi non specifici adempimenti ma, più in generale, di fare quanto possibile per evitare eventi pregiudizievoli; impone di minimizzare i rischi anche mediante soluzioni di ordine progettuale o tecnico (principi della “privacy by design” e della “privacy by default”); stabilisce che sia il titolare del trattamento a provare, in caso di evento dannoso, di aver posto in essere ogni misura possibile per evitarlo (inversione dell’onere della prova). Il Regolamento, inoltre, reca a sostegno un forte apparato sanzionatorio che, consentendo di aggredire in alcuni casi fino al 2 o al 4% il fatturato globale di un’azienda, costituisce sicuramente un forte deterrente, adeguato, nella sua modularità, anche ai grandi protagonisti del mondo digitale».

E per il cyberbullismo? «Il nostro Paese si è recentemente dotato di una specifica legge, la n. 71 del 29 maggio 2017, che tende ad affrontare il problema attraverso un approccio improntato all’effettività, affidando al Garante per la protezione dei dati personali il potere di intervenire, su sollecitazione dell’interessato, ordinando l’immediata rimozione di post ritenuti espressione di sopraffazione».

Sono sufficienti questi interventi? «Tutti gli interventi dall’esterno sono soggetti al difficile compito di dover effettuare il bilanciamento fra i diversi diritti in gioco, evitando semplicistiche scorciatoie che potrebbero, appunto, ledere il diritto. Antonello Soro – presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali – per primo stigmatizza la ricorrente tentazione della soluzione penale (incriminando la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose) perché riduce un fenomeno così complesso ad una mera questione criminale, ma anche perché rende la magistratura un tribunale della verità, laddove in democrazia l’esattezza non è conseguibile se non con il limite del rispetto dell’altrui dignità, che traccia il limite di un’incomprimibile sfera di libera espressione, in cui dobbiamo saper accettare anche il rischio della falsità come controparte del pluralismo».

In fondo, anche in tema di cyberbullismo, la richiesta di rimozione di un determinato contenuto motivata con ragioni di protezione, potrebbe in realtà essere rivolta a far eliminare semplicemente un’informazione non apprezzata dall’interessato: «Esattamente. E, così facendo, porrebbe a rischio quella tutela del dissenso che, come dice il giurista Giovanni Pitruzzella, fa parte del regime costituzionale della libertà di informazione nelle democrazie pluralistiche».

Il parametro essenziale da prendere in considerazione, dunque, rimane il livello di minaccia alla dignità della persona: «È l’approccio dell’ordinamento, nel previo interessamento del gestore della piattaforma (o, in taluni casi, direttamente, dell’autore del contenuto ritenuto lesivo) e, in seconda battuta, dell’autorità pubblica che, in caso di fallimento dell’interpello preventivo, può essere chiamata a dirimere la controversia, effettuando il complesso vaglio del contenuto in questione per decretarne, a seconda dei casi, l’eventuale rimozione, deindicizzazione o anonimizzazione».

Eccoci dunque arrivati al punto, l’autoregolazione: «Tutti questi sforzi rimarranno poca cosa se non si agisce con risolutezza sulla consapevolezza degli utenti del web: di coloro che, gestendo in maniera distorta il fondamentale diritto di manifestazione del pensiero, così duramente conquistato, diffondono messaggi di odio o di emarginazione, ma anche di coloro che, con troppa disinvoltura, si espongono, a causa di un utilizzo non ragionato degli strumenti della Rete, alle insidie che questa – insieme alle sue enormi potenzialità – purtroppo comporta».

A dicembre 2018 la casa editrice ETS pubblicherà un libro dal titolo Dove non arriva la privacy. Come creare una cultura della riservatezza, in cui Acciai ed altri autori approfondiranno questi ed ulteriori temi, con suggerimenti pratici per una presa di consapevolezza sul mondo di domani, sempre più virtuale e liquido, in cui sta diventando urgente imparare a muoversi con destrezza.

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