Se la componente di sostenibilità ambientale ha a che fare con la sopravvivenza, e quella di governance con l’etica, la componente sociale ha a che fare, in ultima analisi, con la felicità. Abbiamo chiesto un parere in merito a Sergio Caucino, EFPA ESG Advisor certified.

La sopravvivenza è intrinsecamente quantitativa, ed è espressa dalla logica binaria della contrapposizione vita-morte. L’etica è imperniata su millenni di dibattiti filosofici sul bene ed il male. Ma la felicità è rappresentata da una bizzarra tensione tra il bene ed il meglio ed è facile intuire quanto sia sfuggente la sua categorizzazione, costruita sul relativismo e intrisa di personalismo: cosa ne pensa?
Se il bene e il male sono figli della icastica schematizzazione della filosofia morale, la felicità parla dei e ai nostri desideri. E come i nostri desideri non è un concetto statico ma un processo dinamico e dialettico, che richiede il confronto e il dialogo, che non può essere imposta unicamente dall’alto, ma deve essere costruita dal basso, attraverso la partecipazione e la deliberazione democratica. La sostenibilità sociale non è neanche un concetto neutro e oggettivo, ma un concetto normativo e soggettivo, che riflette le visioni, i valori e gli interessi dei soggetti coinvolti.

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Sostenibilità sociale e felicità

La Sostenibilità Sociale ha a che fare con la ricerca della felicità?
La domanda ci aiuta a focalizzare una prospettiva alternativa, mettendo in discussione le nostre certezze, evidenziando possibili conflitti e andando alla ricerca di soluzioni creative e condivise. È una virtù essenziale per descrivere la sostenibilità sociale, perché permette di affrontare la complessità e l’incertezza del contesto, di superare le visioni dogmatiche e ideologiche, di stimolare la visione laterale e di cogliere gli elementi essenziali.

Il concetto di sostenibilità diventa manifesto nel rapporto Brundtland del 1987, pubblicato dalla  Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) delle Nazioni Unite, ricorda?
Il documento aveva un titolo che oggi suona come una profezia: “Our common future”. Per la prima volta introduce il concetto di sviluppo sostenibile, ovvero: «Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Nel 2005, nell’ambito dei Princìpi per gli Investimenti Responsabili, sempre redatti dalle Nazioni Unite, compare l’acronimo ESG che spacchetta e divide gli ambiti in cui si sostanzia il dibattito sulla sostenibilità. Idealmente, ogni attore della società che sia pubblico, privato, industriale o finanziario deve collaborare con la comunità dei cittadini per coniugare crescita e benessere, etica e valore.

La tensione di quegli anni era strettamente legata ai temi ambientali e influenzata dagli scandali sul lato oscuro della finanza. Ma l’idea di mettere in sicurezza questi temi di rilevanza globale era nata, e il dibattito successivo ci ha portato in dote l’attuale movimento che, almeno nel mondo occidentale, mette insieme un impatto regolamentare imponente e la spinta trasformativa dell’associazionismo: è d’accordo? La spinta al cambiamento è stata storicamente ecologica mentre la riflessione sul governo della finanza è stata la naturale reazione di fronte all’evidenza di pratiche scorrette e potenzialmente distruttive. La questione sociale invece è stata confinata per lungo tempo nei corridoi di autorevoli ma algide istituzioni sovranazionali, considerata quasi un esercizio teorico e di scarsa presa sull’opinione pubblica. Il grande merito della Agenda 2030 delle Nazioni Unite, promossa nel 2015, è stata quella di rendere concreto e comprensibile un gruppo di obiettivi di alto profilo ma contigui alle dirette esperienze delle persone. Infine, il tragico esperimento sanitario globale (o quasi) del Covid 19, ha mostrato in tutta la sua chiarezza la fragilità della coesione sociale.

Come la felicità, la sostenibilità sociale dipende solo da fattori individuali, o anche dalle condizioni sociali, economiche, politiche e ambientali in cui le persone vivono? La seconda. Per questo, può essere considerata come una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la felicità. Una società sostenibile è una società che crea le opportunità e le risorse per favorire la felicità dei suoi membri, senza compromettere quella delle generazioni future. Quindi è una straordinaria sfida etica e una responsabilità collettiva nei confronti dell’umanità e dell’ambiente. Ne viene fuori che la sostenibilità sociale parla al genere umano ma ne riferisce al singolo individuo e costruisce quindi la base fondante per preservare e rendere migliore sia il pianeta che il suo governo.

Possiamo quindi affermare che delle tre componenti delle sostenibilità, quella sociale sia, a tutti gli effetti, fondamenta e pilastro anche per le altre?
Assolutamente sì, perché rappresenta il capitale umano necessario per lo sviluppo economico e ambientale, elemento compensativo per le criticità e le carenze in questi settori, promuovendo la cultura della cura, verso la natura ma anche nelle relazioni economiche e professionali. Inoltre, stimola il progresso economico e ambientale e agisce come meccanismo causale di cambiamento. La sostenibilità sociale è l’agente principale per progettare e realizzare lo sviluppo integrato di comunità e di territorio, essenziale per la realizzazione dei diritti umani e per il ruolo attivo nel successo deontologico delle imprese.  

Trova che il percorso per arrivare alla sostenibilità sia lineare e che ci siano spazi per raccontare storie anche molto diverse?
Spesso, nell’urgenza di risolvere problemi complessi, si tende ad un approccio isterico e bulimico, dimenticando che i risultati di scelte compiute oggi produrranno risultati nel medio-lungo periodo. Questo vale per l’orizzonte degli investimenti, per la applicazione democratica delle tecnologie e per la trasformazione sociale. Arrivare ad un vero concetto di Universal Ownership in cui le scelte sono orientate a rispettare gli interessi della collettività richiederà una profonda trasformazione culturale o alla riscoperta di saggezze antiche. Mescolare l’economia e l’ecologia con l’eudemonia non è forse la ricetta per la ricerca della felicità?

La Social Sustainability Week

Cosa si può fare concretamente oggi?
Intanto, partecipare alla Social Sustainability Week!

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