La notizia della straordinaria sentenza del Tribunale di Roma (l’adozione speciale concessa alla famiglia omoparentale) mi è arrivata proprio mentre definivo un pensiero piombato come una saetta nella mia mente: la risposta postmoderna alla crisi della famiglia, forse, è una genitorialità non romantica. Ehm, direte voi.

Senza scomodare ermeneutiche ed escatologie sull’avvento del consumismo, le rivoluzioni degli anni ’70 con tanto di divorzio e riforma del diritto di famiglia, e la globalizzazione, ma basandosi sulle cronache degli ultimi anni, il dato non è equivocabile: la famiglia tradizionale è in crisi. La guerra civile molecolare delle quattro mura, scrive bene Aldo Bonomi, esplode violenze di ogni tipo (dal femminicidio in giù) in uno scenario decisamente apocalittico.

“Al prossimo forum nazionale delle camere minorili – spiega l’avvocato Benedetta Ciampa, esperta di diritto di famiglia e socio attivo della Rete Lenford – verrà presentata una ricerca condotta dai giudici dei tribunali dei minori e dagli avvocati delle camere minorili sulla crisi delle forme di convivenza e dei conflitti che attraversano le famiglie. Rispetto a 20 anni fa, la famiglia resta l’elemento cardine dell’organizzazione sociale ma è diventata vulnerabile”. Anche lo psichiatra Eugenio Borgna (“La fragilità che è in noi”, Einaudi) definisce la famiglia contemporanea «un microcosmo di relazioni fragili».

A parte un’inversione di tendenza del 2012, l’Istat da parte sua conferma il trend negativo degli anni scorsi (“Il matrimonio in Italia”): tra il 2009 e il 2011 sono stati celebrati 30 mila matrimoni in meno, il 21,7% dei figli sono nati al di fuori del matrimonio, e il 30% delle coppie si è separate. Interessante, secondo il nostro discorso, che l’Istat abbia per la prima volta censito anche le coppie di fatto, come pure rileva assai la sentenza del 2008 della Corte di Cassazione che ha sancito, per la prima volta, l’equiparazione delle coppie di fatto alle famiglie unite dal matrimonio. Intanto anche in Italia prendono forma nuovi nuclei familiari: monoparentali, omoparentali, famiglie allargate, co-parenting, arcipelaghi familiari, etc, e studi e studiosi (Patterson, Prati e Pietrantoni, Gartrell, Lingiardi, Recalcati, solo per citane alcuni) pubblicano cascate di articoli, saggi e ricerche che raccontano di nuovi modelli possibili.

Potrebbe essere una risposta, sì, quelle dei nuovi modelli, e credo che in parte lo sia. Eppure, forse, il passo può essere spinto ancora più in là, fino a separare il progetto di genitorialità da quello romantico, di coppia. Oltre anche la generazione Telemaco, insomma. L’amore, si sa, se non finisce si trasforma e, si sa anche questo, se non si è abili a danzare sulle dinamiche più mefitiche o sufficientemente resilienti al cambiamento, proprio o del partner, anche trasformarsi senza rompersi è un’impresa ardua. Con i figli a carico, poi, il tutto si complica vertiginosamente (ed ecco, probabilmente, i dati di cui sopra).

Come sarebbe se invece la genitorialità fosse basata non sull’amore romantico ma sulla condivisione di affetti, di progetti, di etiche affettive? Sulle pratiche di solidarietà e cooperazione tra co-genitori, nel rispetto e nell’ascolto reciproco ognuno del modo dell’altro di esercitare la propria genitorialità. Cercando una sintesi, certo, e mai il complacement, contenendo l’uno i limiti, le difficoltà, le paure, le incapacità dell’altro? Più difficile se la passione brucia, più semplice se si è amici.

Lo so che il vincolo (vincolo??) del matrimonio è sacro anche perché si basa sulla procreazione. Ma credo che il sesso, la sensualità, l’erotismo, l’amore carnalizzato, distinto dalla procreazione possa giovare a tanti figli e a tante famiglie e che, per farla breve, un’amicizia possa garantire maggiore stabilità di una passione. Interessantissimi gli studi d’oltreoceano sul fatto che i figli nati in coppie sterili (omo ed eterogenitoriali), ossia grazie alle tecniche artificiali di procreazione assistita (senza accoppiamento quindi..), risultano più creativi, intellettualmente vivaci e sereni dei figli procreati naturalmente proprio in quanto pensati e voluti più a lungo degli altri. Potremmo chiamarla amicizia romantica quella che propongo, e calmerebbe anche molte angosce e sensi di colpa per la comunissima sindrome del “cold bed”.

Quindi: va benissimo (EVVIVA!) che le famiglie omoparentali abbiano gli stessi diritti di quelli eteroparentali, ma occhio a non concentrarsi troppo sul ricalcare un modello ormai astorico.

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