Esco dall’anteprima romana, in quel Vietnam di Roma Nord, con la mia partner Cristiana Meloni, veramente delusa.

La Pandemia mi ha fatto evidentemente male, o bene chissà, perchè dopo una vita professionale passata a fondare e dirigere testate, sempre con la stessa linea editoriale improntata sul niet alle stroncature (è più difficile e utile trovare ciò che funziona rispetto al demolire ciò che non funziona), ecco che oggi firmo la mia terza stroncatura in meno di una stagione.

  1. Le caricature de noantri (di noi altri italiani, ndr): Lady Gaga cicciottella, cafoncella, sboccata, volgarotta è la macchietta della donna italiana del sud; Al Pacino è rimasto congelato ai tempi di Il Padrino, e, con Jeremy Irons, Aldo e Rodolfo Gucci sembrano i fratelli Corleone; il personaggio di Paolo Gucci sembra un filo uscito dall’ordito, che va per conto suo, una sorta di delirante Willy Wonka guidato da Tim Burton (ricordate La fabbrica di cioccolato?);
  2. Assenza di sceneggiatura: Ridley Scott, nonostante la bravura, sua e degli interpreti – tutti – nonostante i mezzi, i soldi a disposizione (tirati fuori di tasca propria), nonostante l’interessante (ma neanche poi tanto) caso di cronaca, fa cilecca, e con lui gli sceneggiatori Becky Johnston e Roberto Bentivegna. Non c’è un punto di vista, un’interpretazione che giustifichi un film oltre ai meri fatti;
  3. La genuflessione al marchio Gucci: anche se per ben 157 minuti siamo sottoposti allo stress di assistere inermi a una sorta di fiera delle bassezze umane (non c’è spiraglio di redenzione in alcuno dei personaggi), tutto il montato ruota intorno a una sorta di timore reverenziale nei confronti della maison e della famiglia Gucci, per cui, mentre in apparenza ne si raccontano nefandezze e povertà, al netto l’intero film è in realtà una celebrazione catartica (e guai a prendere una posizione, come forse un regista potrebbe fare, trattandosi di prodotto artistico e non documentaristico).

    Aspetti positivi ne abbiamo? La bruttezza supersexy di Adam Driver – vi lascio un videino meglio di porn hub, tanto per rendere giustizia alla star, che per come è stata conciata per interpretare lo smidollato Maurizio Gucci potrebbe andare in down!

Per il resto, sarebbe bastato disamericanizzarsi un poco e trovare il coraggio di oltrepassare quel binarismo ormai desueto del buono e il cattivo, tanto caro ai registi maschi e cisgender a stelle e strisce, e infondere un po’ di umanità a ogni personaggio, lasciato solo al muro con un chiodo tra le ali, come un pezzo di quelle colorate collezioni di farfalle che non dicono nulla della verità vita in volo.

E magari, scegliere come punto di vista quello delle figlie della coppia Driver-Gaga (anche se nel film ne compare stranamente solo una, Alessandra), con un padre assassinato e la madre uxoricida (NB: uxoricidio è omicidio del coniuge, sia che si tratti di moglie che di marito, nonostante uxor voglia dire moglie…): chissà quale storia avrebbero potuto rivelare gli occhi di una bambina, facendo nascere, così sì, un film…

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