Ennio Coltorti e Marco Mete, due “mattatori” contemporanei, eccellenze del doppiaggio italiano, fanno faville interpretando Wilhelm Furtwängler. Processo all’Arte di Ronald Harwood, e con loro anche Tomaso Thellung, Virna Zorzan, Federico Boccanera e Licia Amendola danno il meglio di loro stessi. Fiero Ennio Coltorti, che firma l’adattamento alla regia e l’allestimento scenico. La prima nazionale, ieri, ha stordito critici e pubblico e stasera va in scena la replica, l’unica.

Il Teatro Stanze Segrete è in visibilio per aver ospitato questa pièce a distanza di 25 anni dalla pubblicazione di Taking Sides, scritto nel 1995 da Ronald Harwood: uno spettacolo filosofico, un’indagine storica unica sul ruolo dell’Arte e dell’impegno. La questione non è da poco: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Ossia, nessuno è tanto puro da poter giudicare. Ma di fronte a milioni di morti freddamente pianificati?

Il titolo originale di questa straordinaria pièce che mette in scena lo stringente interrogatorio a cui un inflessibile e volgare maggiore americano alla fine della seconda guerra mondiale, durante il processo di denazificazione, sottopone il più grande direttore d’orchestra di tutti tempi, è “Taking side”: “Prendere posizione”. Si è responsabili di ogni azione, nel bene e nel male. Vale anche per l’artista? Oppure i geni di, che so, Caravaggio, Rimbaud, Byron, Marlowe, D’annunzio, etc. sono al di sopra dei comuni mortali e non possono essere giudicati per colpe riguardanti il vivere civile? È recente il caso del grande attore Kevin Spacey. L’autore non ha dato risposte.

Il delicato momento che sta attraversando il nostro paese rende estremamente attuale questo testo che esorta in ogni caso a “Prendere” coraggiosamente “posizione”. Un  inquietante viaggio quasi “artaudiano” nei misteriosi, e a volte mostruosi, meandri dell’animo umano. L’allestimento e la recitazione sono prettamente “cinematografici”, tanto da portare lo spettatore “dentro un film”. Del resto Taking Sides è satato anche un film, dove, dall’istruttoria americana, emerge un Furtwängler che, se da un lato riesce a salvare la vita a molti suoi colleghi ebrei, dall’altro ha rapporti attivi con la società e le autorità in carica nella Germania dell’epoca. Giancarlo zappoli, ha scritto, in proposito: «Lo scontro tra l’accusatore e l’accusato occupa ampia parte del film. Ma non si tratta né di un film biografico, né, ancor meno, di una di quelle opere che mutuano dal cinema processuale le loro figure retoriche. Grazie alla recitazione dei protagonisti il confronto tra due uomini si tramuta in uno scontro tra culture. Su un tema facilmente manipolabile come è quello dell’acquiescenza alla dittatura, Szabó innesta una riflessione sulla chiusura mentale del militare statunitense. Anche nel compiere un’azione utile e necessaria dimostra i limiti di una cultura con radici troppo recenti per potersi addentrare in territori ‘alti’. Quando poi la giovane assistente dice all’americano: “Sono stata interrogata dalla Gestapo e i metodi erano come i suoi” la memoria non può non andare alla prigione di Guantanamo».

Meditate, gente.

Info: https://www.stanzesegrete.it/event/wilhelm-furtwangler-processo-allarte/

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