«Forse il più grande libro del Ventesimo secolo. Come opera d’arte visiva, è un trionfo. Come romanzo, è un trionfo». Sono le parole di Jonathan Safran Foer per definire questo volume, finalmente tradotto anche in italiano grazie a un editore coraggioso, Castelvecchi, da anni ormai impegnato a fondare un nuovo immaginario che dia respiro alla cultura nostrana, da troppo tempo impelagata sugli sterili ring di quartiere.

Vita? o Teatro?, un libro grande formato con cofanetto – pp. 820! – che si rivela prezioso già solo al tatto e alla vista, è una sorta di diario illustrato, di impatto simile, come forse qualcuno ha già capito, a quello di Anna Frank. Bellissima la traduzione e cura dal tedesco di Massimo De Pascale, che ci restituisce una Charlotte (Berlino, 1917 –  10 ottobre 1943), giovane artista berlinese, l’ultima studentessa ebrea dell’Accademia di Belle Arti, travolgente: “Alla fine del 1938 – racconta l’editore, Pietro D’Amore – Charlotte fugge dalla Germania per raggiungere i nonni materni vicino Nizza. Qui viene a sapere che la famiglia materna è segnata da una lunga catena di suicidi, quello della madre e quello della zia di cui portava il nome. Dal 1940 al 1942, dipinge più di mille tempere dai colori intensi e luminosi, realizzate esclusivamente con i tre colori primari e il bianco, in cui si avverte in particolare l’eco dell’Espressionismo tedesco. E’ un lavoro straordinario che mi rende orgoglioso di averlo pubblicato”.

Charlotte era ospite di Ottilie Moore, una mecenate americana che si era messa in testa di proteggere la sua famiglia e così impedire l’emigrazione forzata nel Nuovo Mondo che tanti intraprendevano in quegli anni, dopo che la Francia era stata invasa e diventata collaborazionista (lo fece Hannah Arendt, mentre Walter Benjamin non ci riuscì). Charlotte voleva rimanere, aveva un lavoro di scrittura che le piaceva e con cui si manteneva, e poi era rimasta incinta di un uomo, anche lui ospite di Moore. Poi però venne l’8 settembre. Due settimane dopo la vennero a prendere. «Si sentivano strilla terribili», diranno i testimoni. Morirà ad Auschwitz il 10 ottobre 1943.

«È tutta la mia vita», così confessa Charlotte al suo medico francese affidandogli centinaia di tempere e di fogli manoscritti, quello che oggi Castelvecchi pubblica in Italia, poche settimane prima di essere deportata, incinta di cinque mesi. Concepito in una situazione di solitudine estrema, Vita? o Teatro? è il frutto di mesi di incessante lavoro di una giovane donna fuggita dalla Germania nazista che aveva voluto con quest’opera costruirsi un baluardo contro il caos del mondo. Oggi resta un monumento artistico e letterario, quasi un’opera d’arte totale di una forza sconvolgente, un capolavoro senza precedenti, che viene qui pubblicato per la prima volta in italiano nella sua forma integrale (in Italia la prima edizione dell’opera era arrivata a inizio anni Sessanta, con una selezione di 80 tempere; a introdurla un breve, pertinente scritto di Carlo Levi).

È una storia tra tante: «a quel tempo accadeva lo stesso a qualsiasi persona», spiega Salomon. Una storia d’orrore, persecuzione, eccidi, come milioni prima e dopo di lei. Ma in questo volume vince la morte. Da questo libro esce luce sfavillante. Vita. E’ la potenza dell’arte. Giovane artista berlinese, è stata l’ultima studentessa ebrea dell’Accademia di Belle Arti. Alla fine del 1938, fuggì dalla Germania per raggiungere i nonni materni vicino Nizza. Qui venne a sapere che la famiglia materna era segnata da una lunga catena di suicidi, quello della madre e quello della zia di cui portava il nome. Si tuffa allora nel suo talento, un rifugio ma anche un palcoscenico catartico, una medicina.

Dal 1940 al 1942, dipinge più di mille tempere dai colori intensi e luminosi, realizzate esclusivamente con i tre colori primari e il bianco, in cui si avverte in particolare l’eco dell’Espressionismo tedesco. Nei testi trascrive la sua storia, percorsa da una forte vena poetica, a tratti anche da un’ironia sconfinante nel sarcasmo, e sostenuta da ampi riferimenti musicali. Da questo insieme Charlotte sceglierà 781 tempere che formeranno, insieme ai fogli manoscritti, il romanzo della sua vita: Vita? o Teatro? Un Singspiel.

Salomon però – attenzione, come dice Massimo palma – non è Anne Frank, non commenta il presente di prigionia, non si vede in un futuro. Charlotte disegna di nuovo la sua vita e quella tedesca di tre decenni tragici, tutta, la rende opera, dramma musicale (Singspiel è il genere cui ascrive la sua biografia), lascia arie, tracce di colonna sonora a costellare atti e ritratti (Mozart, la Carmen, la Morte e la fanciulla, e decine di altri riferimenti). E una sterminata serie di tempere con didascalie sinuose, torrenziali al fianco. Le pitture parlano un lessico espressionista figlio di Van Gogh e degno di Chagall o Munch, ricchissime di colore, munite di particolari godibili davvero solo nel dettaglio – come fotografie che chiedono lenti per esser davvero viste –, mentre le parole che le affiancano spaziano nei registri lirici.

Forse la graphic novel più toccante che io abbia mai tenuto per le mani e sono d’accordo con Carlo Levi quando scrisse di questo libro: «Questa autobiografia può essere letta come un’opera d’arte, un’affermazione di vita, un documento, un romanzo di sentimenti di fronte al destino». E, mentre The New Yorker scrive «Una donna, un’artista, una rivoluzione» e Le Monde «Leggete questo libro, è fondamentale», io penso che stiamo parlando di uno dei documenti storici più straordinari che esistano sulla Terra.

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