Prima di cominciare a leggere, guardate questi tre minuti di film: mozzafiato.

La ragazza sul ponte è un film di Patrice Leconte (Premio César 2000), scritto da Serge Frydman, uscito nel 1998. Lei, una sensualissima Vanessa Paradis, sta tentando il suicidio, di notte, da un ponte sulla Senna. Lui, un Daniel Auteuil all’acme della sua intensità, è un lanciatore di coltelli fallito perchè non trova più chi sia disponibile a fare da bersaglio. Per questo cerca le sue assistenti sui ponti, sperando di incontrare, come quella fatidica sera, qualche aspirante suicida. Glielo propone, di fare il bersaglio, a lei, che non ha appunto nulla da perdere, e così sul momento la salva.

Un bianco e nero lezioso ma mai stucchevole, necessario per dare intensità a un rapporto giocato sul bilico, quanto mai ambiguo. Pochi dialoghi, tanta tensione estetica. Erotica, forse, anche. I coltelli che sfrecciano a pochi millimetri dalla sagoma di lei, anche a volte ferendone leggermente la pelle, sono falli che non penetrano: potrebbero uccidere, e invece semplicemente sfiorano. Lei gode senza mai abbandonare la disperazione intima che la rende indifferente e passiva, terribilmente sola eppure sempre meno sola ad ogni lancio di lama. Ogni lancio è un filo tra lui e lei, quel filo che, tessuto colpo dopo colpo, crea una trama, una storia, un legame. Diventano complici, intimi, pur senza mai trasformarsi in amanti.

Lui ha bisogno di lei, lei di lui. Entrambi hanno bisogno dell’altro per sopravvivere. Per vivere. Quel bisogno che, senza un consenso, è spesso sintomo di tossicità in molti rapporti, dove la dipendenza e il potere vicariano l’amore, in questo film diventa la cura, il dono incondizionato, la resa devota nella compiutezza perfetta della reciprocità.

Un’opera tra le più suggestive di un grande regista, da sempre interessato all’aspetto più autentico e bizzarro delle relazioni, per loro natura mai sondabili definitivamente, magiche, misteriose. Un regista che, insieme a tanti altri capolavori come Il marito della parrucchiera, L’amore che non muore, L’uomo del treno, Confidenze troppo intime, Il mio migliore amico, porta avanti un discorso di riscrittura dell’amore, sentimento dalla grammatica indecifrabile, che attraverso il suo sguardo diventa sorprendentemente eccentrico.

Novanta minuti di pura bellezza, dove le forme e lo stile sono protagonisti quanto l’intreccio e confermano in modo non convenzionale l’insight della grande Ursula Le Guin: “La storia non è nella trama ma nel suo racconto“. Del resto, stiamo parlando di un artista che realizza personalmente le inquadrature dei suoi film: «Ho cominciato a fare da solo le inquadrature con Tandem e da allora non ho più lasciato la macchina da presa a nessuno, semplicemente perché l’inquadratura fa parte integrante della regia. E poi gli attori amano avere l’occhio del regista vicino. Quando vedo un regista dietro al suo monitor mi dico: “Ma sta già guardando il suo film alla televisione!” e penso che sia un grosso pericolo. È il controllo video che spinge un regista a fare sempre più primi piani, perché quando si osserva un campo lungo sul monitor non si vede nulla. E questo finisce per falsare completamente il punto di vista».

Non è la sede di citare i numeri dei suicidi dall’inizio pandemia. Ma diciamolo. Sarà un Natale di mancanze, pensieri cupi, lontananze e solitudini. Una festa a metà, senza sapere esattamente cosa dire ai bambini, senza nonni, senza rumori, senza tavolate imbandite, senza panciuti Babbinatali che suonano dal pianerottolo pieni di pacchi. Un Natale triste e senza sorprese, come da sempre lo sono quelli in tanti paesi del mondo, che se hanno fortuna guardano in tv qualche film con ricche persone felici che vivono in mondi lontani.

A questo serve La ragazza sul ponte: a riconoscere e ad attraversare le emozioni negative grazie al potere farmaceutico delle relazioni che abbiamo con chi ci sta accanto, non importa se un marito, una moglie, un figlio, un amante, un gatto, un cane, un amico: create legame.

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