Lunedì 16 Dicembre 2019 dalle ore 18:30 affiancherò con grande onore Ernesto Assante alla libreria Feltrinelli di via Tomacelli, a Roma, per raccontare “The Beatles (1962 – 1969). Da Liverpool ad Abbeay Road”, il dodicesimo libro che il più importante critico musicale italiano firma sulla band che ha cambiato la storia della musica mondiale e ha fondato l’immaginario dell’epoca culturale nella quale siamo cresciuti e oggi viviamo.

Tutti a Roma, dunque, oggi, per ripercorre la storia dei Beatles, quei ragazzotti che hanno saputo lasciare un segno indelebile non solamente nel mondo musicale, ma anche e soprattuto nella dimensione sociale e culturale. E’ una promessa: farete un viaggio emozionante alla scoperta delle tappe che hanno reso i quattro giovani di Liverpool una delle band più popolari e influenti di sempre: dakl’arrivo del manager Brian Epstein che li porta dal palco del Cavern alla vetta del mondo, ai primi rifiuti da parte dei discografici, poi il primo singolo del 1962 Love me do, fino allo scoppio della Beatlemania.

Questo volume (da collezione!) ripercorre la loro storia, anno dopo anno, attraverso una raccolta di eventi, storie, canzoni e aneddoti. Stiamo parlando dei magici anni ’60, quell’attimo prima della rivoluzione dei costumi che fu il ’68, e poi il ’77. Sono passati più di cinquant’anni da quando i Beatles registrarono il loro primo album e misero al mondo l’era del pop, vera e propria cappottatura non solo nell’ambito della musica ma anche in quello della cultura, della moda e della comunicazione. Se abbiamo la società contemporanea, è perchè i Beatles hanno saputo mettere (per primi) al centro dell’attenzione la gioventù, una categoria sociale che era praticamente inesistente prima dell’arrivo del gruppo sulla scena.

Già, il pop. Scrive Assante, e io lo sottoscrivo con ammirazione: “Il pop è l’anima di chi vive la sua vita, quotidianamente, tra passioni e dolori, tra gioie e sentimenti, tra piccoli e grandi intoppi, sogni e drammi. Il pop racconta la vita come è e come noi vorremmo che sia. Il pop è il linguaggio comune di una parte del mondo, quella che pensa che la libertà sia la strada maestra per conquistare il futuro. Il pop è eccessivo, colorato, sfrontato, sexy, vistoso, il pop è sentimentale, ovvio, magnificamente banale, riduce tutto ai sentimenti basilari, alle parole chiave, non chiede introspezione ma vuole verità. Il pop è stupido, come noi lo siamo, sempre e più volte al giorno. Il pop è travolgente, accende i cuori e li infiamma. Il pop è semplice, di quella semplicità che è al centro dei nostri desideri. Il pop è sempre nuovo, anche restando sempre uguale. Il pop dice “ti amo”, “mi manchi”, “sei bello”, “stiamo insieme”, e mille altre frasi o parole che sono le nostre. Il pop rappresenta quello che noi vorremmo essere e non possiamo. Il pop anima le nostre giornate perché, mentendo, ci fa sembrare la vita migliore. Il pop ci fa piangere e ridere, ci mette di buon umore o accompagna le nostre malinconie, ci fa ballare e mette in sintonia il nostro corpo con il ritmo della vita. Il pop non ci chiede di cambiare il mondo ma di viverlo. Il pop non ci fa scoprire cose che non conosciamo, ma ci conosce. Il pop fino a ieri ci poteva sembrare commerciale e vacuo, insulso e leggero, inutile e forse anche in alcuni casi dannoso, ignorante e basico; oggi, dopo l’attacco al concerto di Ariana Grande, ci appare davanti in tutta la sua magnificenza, nella sua completa e assoluta libertà, nella sua straordinaria forza vitale, nella sua perfetta gioia”.

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