Datemi un cigno è la parola d’ordine di questa incredibile autofiction, e il perchè lo scoprirete da soli, tra le pagine. Voglio assolutamente scrivere di Sembrava bellezza, di Teresa Ciabatti, uscito qualche mese fa con Mondadori, ma non so davvero da dove cominciare. Forse da pagina 164 (non dovete leggerla prima delle altre 163!)? Ma si può cominciare la critica a un romanzo a partire dal suo colpo di scena? Nemmeno lo spoiler più sadico! Perché c’è pure un colpo di scena, aicapito, in questo volume crossover, un mix mai visto tra un sincero diario segreto, una biografia romanzata, gli appunti di uno psicoanalista (o forse del paziente manipolatore?), il disordinato taccuino del giornalista di cronaca, e il rompicapo di un detective.

Teresa Ciabatti vista da Chiara Pasqualini

Una trama dal circuito fluido

Intanto tranquillizzo i diffidenti: il disordine del romanzo è solo apparente. E, anzi, in questo, la collega Teresa Ciabatti mi mette soggezione per la capacità di controllo e dominio della narrazione. E’ vero, la scrittura zampilla come da un tubo bucato: spruzzano digressioni continue, e il flusso sembra perderne, ma non è così. Non si tratta di digressioni, nemmeno una lo è. Tutto scorre armonicamente nel circuito fluido della trama, che ha un inizio e una fine, come nei racconti da scuola. Tutto serve, nemmeno una goccia sprecata, nemmeno una virgola fuori posto (solo un refuso: pag. 210), roba che Furio in confronto…

Quindi il flusso di coscienza che vi farà ubriacare, avanti e indietro strizzando e dilatando il tempo di una vita come una fisarmonica, non ha niente di confuso: abbandonatevi, fidatevi, stiamo parlando di una nomination Premio strega.

Vabbè, manca di trama, e allora eccola, per benino: trattasi di storia reale, viene dichiarato all’inizio, ma il dubbio del mise en abyme rimane. Una scrittrice di successo cerca il suo riscatto dopo essere stata una ragazza emarginata, senza riuscirci per via di fallimenti, più o meno oggettivi, che lei sente come croci (il verbo che ricorre è espiazione): una figlia che la odia, su tutto.

Ma forse no, in realtà la protagonista è Livia, la ragazza bellissima icona del gruppo di adolescentə ammiratə la cui vita viene fermata da un incidente che la rende per sempre bambina. Rivalsa, invidia, gelosia, competizione, vendetta: sembra un romanzo punk, a volte. Di sicuro non c’è perbenismo, nè moralismo. Avrei qualche dubbio sul giudizio, così espressamente inagito, ma forse imperatore silente di queste pagine impietose che con tanta irriverenza scorrazzano tra i fatti senza curarsi del bene e del male.

Anzi, ci ripenso: vero protagonista è il tempo, ai cui capricci la narrazione si sottomette, perchè il tempo si sa non è oggettivo ma una convenzione, e il suo scorrere è circolare.

Il libro, però, è dedicato a Federica, l’amica che dopo 30 anni cerca la compagna di scuola, quella emarginata, oggi scrittrice famosa. Sì, è lei la protagonista, il movente del libro, ciò che permette e dà avvio alla narrazione: si ripercorre il passato, che si intreccia col presente, mischiando ricordi e aspettative, paure e speranze, mentre lo si perlustra alla ricerca di una verità, la scrittrice su se stessa prima di tutto (ma, appunto, c’è anche la suspense), perdendo di continuo il bandolo della propria esistenza.

Un romanzo avvelenato e velenoso che, come in omeopatia, cura, diventando farmaco. Finalmente un libro senza verità svelate, crudo e vero come di fatto è la vita, un esercizio di autenticità pagina dopo pagina che impone al lettore la stessa fatica.
Per conoscere Teresa Ciabatti e sentirla parlare di questo libro, segnate in agenda il ReWriters fest.: domenica 17 ottobre ore 20, al WEGIL, Trastevere, Roma, con letture di Michela Andreozzi.

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