Ho di recente avuto la fortuna di incontrare Selene de Condat, artista francese che vive tra Parigi, Roma e Palermo. Eroina della contemporaneità, la fotografa vanta due cataloghi da lode, entrambi sui lavori dimenticati, l’ultimo dei quali, Les artisans de la propreté, raccoglie scatti su netturbini in bianco e nero, buii e lucenti, attualmente in mostra nella Ville Lumière, appena inaugurata alla presenza del sindaco Anne Hidalgo. Ma cominciamo dal principio.

Mora, occhi grandi e lunghi, timida ma estrosa, bazzica l’Italia da quando è in fasce grazie all’innamoramento che sua madre, antropologa, moglie di un giornalista, si prese per la Sicilia, in particolare Palermo. E proprio da questa città, guarda caso, proviene la sua compagna, bella donna dell’alta nobiltà della trinacria, con cui de Condat ha di recente avuto una figlia. Con passione e coraggio, per un anno, anche la notte, la fotografa ha accompagnato gli spazzini di Parigi a ripulire la città, raccontando, attraverso immagini forti ma liriche, come questi artigiani della pulizia ogni giorno restituivano dignità a vicoli, piazze e boulevard. “Il mio – ha dichiarato de Condat – è un omaggio a chi, dopo i tragici eventi del 13 novembre scorso, con pazienza e profondo senso civico e umano, ha rimosso i segni lasciati dagli attentati terroristici. In inverno come in estate, le loro scope hanno spazzato polvere, passi e ricordi, e le loro mani magiche sono riuscite a cancellare ogni vandalismo, anche quelli contro le preziose opere d’arte. Per questo li considero eroi moderni della nostra civiltà occidentale post-industriale, gli artefici dell’ecologia e i guardiani del patrimonio multisecolare parigino”.

Molto suggestivo anche il lavoro sulle fogne di Parigi, esposto a Roma durante la primavera scorsa, al Museo di Trastevere,  promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e al Turismo – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dal Comune di Parigi e dall’Institut Français Italia con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Prima fotografa al mondo ad aver avuto accesso al ventre di Parigi, l’itinerario negli abissi della capitale francese racconta un volto decisamente inedito della città. Dalla loro organizzazione alla fine del 1700, les égouts, le fogne parigine, infatti, non hanno mai ospitato estranei che non fossero fognaioli. La fotografa, fedele al suo metodo di lavoro, ha invece trascorso ben sei mesi con loro, documentando e rappresentando un lavoro umile e dimenticato, per restituirgli la dignità che merita. “Musa di artisti, scrittori, uomini e donne di teatro e di scienza – ha dichiarato – meta di artisti e simbolo del Sapere che illumina il mondo, Parigi è anche un universo nascosto, perso nelle chimeriche e arcaiche cattedrali di tessuto celate sotto i piedi frettolosi dei cittadini. Considerate come una sorta di al-di-là della contemporaneità, le fogne fungono da scena ideale della rappresentazione della nostra società con le sue preoccupazioni post-industriali e filosofiche”.

Sedotta dagli scatti di questa artista irriverente e audace, sono andata a studiarmi il suo back-round: come si è formata? Da dove viene? Fin da giovanissima, lavora nel mondo dell’arte, in principio consacrandosi alla produzione di teatro, di musica e di balletto classico in Europa e negli Stati Uniti, dove vive qualche anno. La sua collaborazione con alcuni dei più importanti nomi della storia della danza, tra cui la figura enigmatica di Maurice Béjart, arricchisce la sua visione delle Arti. Il suo lavoro fotografico trae ispirazione da mestieri antichi e pone l’essere umano al centro della riflessione plastica e filosofica. Le sue due mostre, consacrate appunto a fognaioli e netturbini, sono una promessa sul suo prossimo exploit: gli imbalsamatori. Realizzato con la collaborazione di Michel Guenanten, uno delle figure più illustri della tanatoprassi, la tecnica di imbalsamazione, sarà un dialogo teso tra la fotografa e l’artista della morte, in un crescendo di significati: il divenire del corpo, la vanità umana. “Mi sono ispirata – spiega de Condat – alle fonti medievali dell’ars moriendi, e i miei cadaveri racconteranno per metafore la tragica commedia umana della vita, tra essere e sembrare”.

Da tenere d’occhio, dunque, questa “tessitrice di sguardi” per niente ingenua, sinceramente ispirata da una visione del soggetto fotografico inteso come metafora della società e riconoscenza ai saperi antichi. Saggia nelle opposizioni dei chiaroscuro, nelle sfumature, nell’arte complessa del mostrare e del celare, coerente con la sua visione teatrale del mondo, riesce a dare spettacolo con immagini ad alta saturazione di significati, in un viaggio esoterico nell’aldilà urbano che ben descrive le ambiguità della contemporaneità, a cominciare proprio dalle lordure intese come mezzo per ritrarre l’Umanità.

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