Che cosa hanno in comune Chat Baker con Jimi Hendrix, Michael Jackson con John Lennon, Mia Martini con Jaco Pastorius? O Alexander Scriabin con Bob Marley? Ma soprattutto perché Omar Pedrini dovrebbe considerarli un po’, diciamo così, come fratelli in qualche modo di sangue? Sicuramente hanno in comune la musica: quella passione della vita e del cuore che ha fatto di loro in qualche modo, ciascuno per il proprio tempo, una voce dell’arte, della poesia o, semplicemente, del proprio tempo. Ma c’è qualcos’altro, che intesse tutto dei colori del giallo: ciascuno di loro non ha avuto una morte qualsiasi. Esiste un’ombra, un chè di misterioso o, anche semplicemente, di “borderline” che avvolge il momento ultimo della loro vita, il subentrare della Bella Signora con la sua grande falce.

E Omar Pedrini? E’ uno dei tanti, tantissimi di questo mondo che ha concretamente e più volte rischiato la vita, ma non per le conseguenze di eccessi e di stravaganze. Banalmente perché, purtroppo, il cantautore bresciano è affetto da una particolarissima patologia cardiaca che gli ha fatto più volte intravedere la fine di tutto. “In questo libro avrei dovuto esserci anch’io”, così esordisce nella sua prefazione a Rock is dead, il volume edito da Chinascki a firma di F.T. Sandman (nome d’arte di Federico Traversa) e di Epish Porzioni, fresco di stampa e del suo impietoso elenco di cadaveri eccellenti. Un libro che, con serietà e leggerezza, vuole raccontare non solo le storie che tutti noi ci aspetteremmo di trovare, quelle in fondo già scritte, ma anche e soprattutto tutte le altre: quelle dei musicisti meno conosciuti, ma non meno importanti per la storia della musica e dei propri anni. Per cui, se non poteva mancare David Bowie, scomparso di recente, o Jaco Pastorius, freddato in una rissa finita male, non poteva nemmeno mancare la storia di una figura come Johnny Ace, l’usignolo del R ‘n B’ morto giocando alla roulette russa. O Michael Hutchence passato all’Aldilà, chissà, forse per suicidio o per una pratica autoerotica finita tragicamente male. E che dire di Victor Jara, il Bob Dylan cileno trucidato dalle milizie di Pinochet o di Marvin Gaye, il singer dalla voce di miele ucciso dal padre?

Il fascino di questo libro e di queste storie in realtà sta nella vita che il gesto oscuro – e qualche volta anche incomprensibile – della loro morte sanno raccontare. In quell’attimo totally black, in realtà, si apre una finestra sulle personalità dei protagonisti di queste storie. E, sempre per un attimo, il lettore viene gettato letteralmente fra i colori e i profumi di quelle vite, di quei pensieri che, sempre per un attimo, gli diventano magicamente più vicini, come fossero proiettati sullo schermo avvolgente di un film in 3D.

Ecco, in questo libro la morte ha i colori accattivanti non del nero ma del giallo: ed è indubbiamente questo che ne fa una lettura ingorda e tutta d’un fiato.

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