A venticinque anni dall’istituzione del Tribunale penale internazionale per crimini di guerra in ex Iugoslavia (ICTY, International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia), il IX Festival della Diplomazia porta per la prima volta il Italia una mostra con foto e documenti inediti. Dal 18 ottobre al 9 novembre 2018, nella suggestiva sede di Officine Fotografiche Roma, Daria Scolamacchia cura lo sconcertante percorso che imprimerà in modo indelebile il nostro immaginario.

Realizzata con il contributo dell’ambasciata dei Paesi Bassi in Italia e del Festival della Diplomazia, la mostra presenta il dietro le quinte dell’ICTY (istituito nel 1993 con la Risoluzione 808 del Consiglio di sicurezza dell’ONU): interni, archivi, ritratti di molti protagonisti ed interviste esclusive. Gli autori, il fotografo Martino Lombezzi e la giornalista Jorie Horsthuis, presentano un affresco unico del Tribunale, che negli ultimi venticinque anni ha incriminato centosessantuno persone, condotto decine di processi, e che normalmente è chiuso al pubblico. «È l’occasione per scoprire la storia del luogo in cui sono stati processati criminali di guerra come Milosevic, Karadzic e Mladic – spiega la curatrice – e dove la storia contemporanea dei Balcani è stata riscritta».

Bob Reid, capo delle operazioni dell’ufficio del pubblico ministero, è netto: «Un tribunale come questo non sarebbe mai esistito al giorno d’oggi, sicuramente sarebbe stato posto il veto dal Consiglio di sicurezza. La geopolitica è cambiata molto dagli anni ‘90, e questo rende l’eredità della nostra istituzione ancora più unica». Molto interessante il suo punto di vista, se si pensa che Reid è arrivato all’Aia nel 1994 come ufficiale di polizia australiano, quando l’ICTY era ancora in una fase preparatoria: «L’idea di istituire un tribunale era molto idealistica. La guerra infuriava ancora, i leader erano ancora al potere. Come potremmo ottenere qualcosa da loro? Nessuno credeva che potessimo farcela davvero. Ma ce l’abbiamo fatta». Le foto ci catapultano dentro luoghi incredibili. Come la cella frigorifera nell’enorme caveau al terzo piano dove, oltrepassando il cartello “accesso ristretto”, a bassa temperatura per assicurarne la conservazione sono archiviate 9,1 milioni di pagine di prove insieme a floppy disk, mappe militari ed esumazioni.

Ci sono anche fotografie che mostrano dove sono conservati i diari di Mladic: «Li abbiamo trovati nel suo appartamento a Belgrado – spiega Reid – dove li aveva nascosti dietro un muro finto. Quando li ho visti per la prima volta, ero elettrizzato: lì dentro è scritto tutto: dov’era, in quale data e con chi ha parlato. È una prova molto importante».

Tuttavia, le sentenze non sembrano portare alla riconciliazione tra i popoli dei Balcani: «È molto doloroso vedere che leader come Mladic, Prlic e Haradinaj siano ancora percepiti come eroi nei loro paesi d’origine – dice Serge Brammertz, il procuratore capo. Un dormitorio studentesco in Serbia è stato intitolato a Radovan Karadzic. Questo è un peso per le nuove generazioni».

Una mostra, dunque, davvero importante: «Il tribunale ha pronunciato la sua ultima sentenza lo scorso novembre – spiega Scolamacchia. Ratko Mladic, ex comandante dell’esercito serbo bosniaco, accusato di genocidio e crimini contro l’umanità per il massacro di Srebrenica e molti altri crimini di guerra commessi dalle sue truppe durante la guerra del 1992-1995, è stato condannato all’ergastolo. Dopo questo importante e lungamente atteso giudizio, l’ICTY ha chiuso i battenti, mettendo fine a 25 anni di indagini sui crimini di guerra».

A prendere il posto dell’ICTY adesso c’è il MICT (Mechanism for International Criminal Tribunals), Meccanismo residuo per i tribunali internazionali, responsabile della conduzione e del completamento di tutti i procedimenti di ricorso, del programma di protezione per vittime e testimoni, dell’applicazione delle sentenze e della gestione e conservazione degli archivi.

«Il progetto “Resolution 808” documenta gli ultimi mesi di lavoro dell’ICTY dietro le quinte – conclude la curatrice – e racconta le storie delle tante persone che hanno lavorato al suo interno: dall’addetto alle fotocopie al presidente, dalla guardia al procuratore capo, tutti hanno storie personali da condividere. Lombezzi e Horsthuis hanno lavorato per mesi per ottenere l’approvazione del Tribunale per questo progetto: hanno avuto la possibilità di visitare aree normalmente chiuse, come le aule dei tribunali e le celle di detenzione, e di condurre interviste approfondite con molte figure di spicco».

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