Se sei un baby boomer e hai amato Candy Candy, oppure sei un bro della generazione zeta fanatico dei manga, oppure sei un* shōjo (erroneamente tradotto come “target femminile e giovanissimo”), o se in ogni caso ami i comics forse hai già in collezione Perfect world, che nel 2019 si è aggiudicato il 43º premio Kodansha per i manga.

La storia è strappalacrime ma talmente ben scritta da avere una sua turgidità, tenuta e stile: Tsugumi Kawana e Itsuki Ayukawa sono due vecchi compagni di liceo ma, quando per una coincidenza si rincontrano dopo molto tempo, Tsugumi scopre che il suo amore giovanile ora si trova in sedia a rotelle. Le difficoltà saranno tante, ma l’amore, secondo voi non trionfa sempre, se è autentico?

Spero di non avervi ingannati con il mio brutale attacco del pezzo perchè, è vero, il manga non può non ricordare le atmosfere psicologiche ed estetiche di Candy Candy (parlo del shōjo manga ma anche della sua trasposizione anime), ma anche della mitica Lady Oscar, eppure viaggia su altre frequenze. Cominciamo per ordine.

Prima di tutto, Perfect world non è un manga shōjo (nonostante questa sia la categoria per la quale ha vinto il suddetto premio) ma josei, che è l’evoluzione del shōjo perchè gli argomenti sono meno sognanti e naiv e più realistici, rivolti a un target più maturo (per capirci, un sottotipo di manga josei è dedicato all’amore omosessuale maschile e, nel soft porno giapponese, il termine josei è sesso associato all’attrazione per le cosiddette milf, donne mature). Scritto e disegnato dalla bravissima Rie Aruga, subito serializzato (2014) dalla rivista giapponese Kiss e poi pubblicato in volumi dalla stessa casa editrice della rivista, in Italia è arrivato grazie a Star Comics nel 2019.

A novembre 2020, la rivista Kiss ha annunciato che la serie si concluderà con il dodicesimo volume (siamo al n. 11!). Non solo vi consiglio l’acquisto dell’intera serie, ma, se siete fan del genere comics, cercatevi anche il film live action (2018) e la serie tv (2019). Di sicuro, è un modo nuovo e ad alto impatto emotivo per affrontare con profondità ma anche in leggerezza il tema della disabilità: l’happy ending non è scontato ma può essere un modo innovativo per immaginare e ripensare il difficile tema di come la società si rapporti a chi ha una disabilità.

Del resto il fumetto ha un linguaggio universale capace di trattare con gentilezza molte questioni scivolose. Infatti esistono altri casi di fumetti, comics e graphic novel a tema disabilità, tutti molto divertenti – uso appositamente l’aggettivo – come può essere divertente sempre la vita, anche nei suoi dirupi e baratri, se se ne riesce a cogliere il valore, qualunque vita sia: Imparare a cadere, della Bao Publishing, affronta la disabilità mentale con incantevole poesia grazie all’autore tedesco Mikael Ross, che ha accettato l’incarico di scrivere una graphic novel per i 150 anni della comunità Neuerkerode, la fondazione religiosa che accoglie oltre 1.300 persone, di cui 800 disabili, in un villaggio della Sassonia, dove si vive insieme costruendo pozzi di gioia.

Sempre disabilità mentale è il cuore della graphic novel Marbles, in particolare sul disturbo bipolare (leggi una recensione in chiave psicologica qui). Per non parlare dell’ormai mitico La voce delle cose, di una giovanissima Cécile Bidault, premiata nel 2018 con il prestigioso riconoscimento del premio Artemisia, proprio in Francia dove, fino al 1976 la lingua dei segni era vietata. La storia racconta infatti di una bambina sorda e della trasformazione felice che vive dal momento in cui scopre la lingua dei segni (le diverse lingue nazionali dei segni, nate secoli fa, furono codificate dall’Abate de l’Epée alla fine del 1700, ma sono state sempre osteggiate e ancora cercano un riconoscimento istituzionale: anche in Italia…). Sul tema epilessia, favolosamente poetico è Il grande male, mentre sulla Sindrome di Down è fieramente incoraggiante Non è te che aspettavo.

 

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