I genitori gay non hanno nulla da temere. Non lo dico io, lo dice niente meno che James Hillman. Il concetto è facile e lo slogan quasi magico: superstizione parentale. Si tratta di una vera e propria notizia per molti di noi, anche se a darla è uno psicoanalista e filosofo morto ormai da tre anni: i nostri problemi sono nostri e non derivano dal rapporto coi genitori. Pensarla diversamente, spiega il genio, significa appunto praticare una sorta di superstizione parentale e restare costretti tra i confini del giardino dell’infanzia per tutto il corso della propria vita.

“L’anima individuale continua a essere immaginata biologicamente come un frutto dell’albero genealogico” (J. Hillmann, Il Codice dell’Anima, Ed. Adelphi).

In altre parole, venerando il Dna come unico responsabile del nostro destino, ci facciamo sequestrare dal determinismo ed escludiamo completamente l’aspetto animico dell’esistenza. La nostra libertà, invece, supera quell’insieme di proteine e amminoacidi che compone la catena del patrimonio genetico per diventare umana, un intero composto da mente, soma e psiche, ma anche dalla società in cui viviamo, dalla nostra cultura, dall’apparato spirituale cui aderiamo, dall’insieme delle esperienze fatte e da quelle non fatte, dagli aspetti invisibili di una realtà che possiamo percepire solamente con la “nona coscienza”, direbbe Daisaku Ikeda.

Ma se i genitori vanno decostruiti, se la nostra autodeterminazione passa attraverso l’accettazione delle ultime ricerche delle scienze di frontiera che spiegano come considerando il Dna solo alla stregua di un polimero bidimensionale limitiamo la visuale sull’esistenza e ci precludiamo la possibilità di indagare fino in fondo tutta la sua potenzialità (tra l’altro ad oggi si conosce poco più del 5% della spirale di informazioni che struttura il nostro essere), qual è il problema di avere genitori belli, brutti, grassi, magri, neri, bianchi, omosessuali, eterosessuali, buddisti, cattolici o protestanti? Nessuno. Sarà piuttosto la qualità del contesto familiare, insieme ai tanti altri fattori sopra elencati, a contribuire al percorso che ognuno di noi fa per diventare persona. Hillman insomma ribalta l’ottica psicoanalitica classica e mette al centro la psiche: ognuno di noi ha la responsabilità di se stesso, di ascoltare la propria anima e di disobbedire al proprio Dna.

Del resto intorno alla superstizione parentale si muovono veri e propri imperi economici (terapie, terapisti e terapeuti) e tutta la schiera di sentinelle in piedi & Co. L’omofobia infatti, o comunque la fobia verso le famiglie omoparentali, si basa proprio sul culto del Dna: da una parte il terrore che da genitori omosessuali nasceranno figli omosessuali o comunque infelici, disadattati, incompetenti verso la vita; dall’altra la fantasia eugenetica che ci rassicura che, se il Dna di nostro figlio comprende quello di entrambi i genitori, la sua sorte sarà protetta da imprecisati buoni auspici.

Il fatto è che quando ci imbattiamo in temi scomodi come quelli legati alla famiglia e alla procreazione, tematiche che toccano il territorio più intimo delle persone, vediamo vacillare tutta la pavimentazione delle nostre credenze e preferiamo rinchiuderci in una comfort zone blindata, anche se composta di pregiudizi, supposizioni e preconcetti, invece di aprirci a nuovi orizzonti di esperienze. Questo articolo esprime il desiderio che, per esempio a cominciare dai suoi lettori, si tenti di sfidare se stessi e di confrontarsi con gli accadimenti in modo laico, libero, responsabile: esistono milioni di bambini nel mondo nati attraverso le tecniche di procreazione assistita, molti di questi non hanno patrimonio genetico in comune coi loro genitori, alcuni sono figli di genitori dello stesso sesso, altri di coppie sterili; cerchiamo di porci delle domande per trovare risposte in grado di girare una nuova pagina della nostra storia individuale, mentre già quella collettiva ha girato.

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