Finito. Adesso. Bevuto, letto tutto d’un fiato. E non perché già seguissi Camilla Vivian (mi vanto di essere stata la prima, in Italia, a scrivere di lei, due anni fa: leggi qui), o perché io sia una sponsor delle famiglie non convenzionali (vedi il mio blog “Nuovi figli crescono“). No. Semplicemente perché questo libro, una storia vera, mi ha sorpresa, illuminata, vitalizzata, ispirata.

Stiamo parlando del racconto dei primi anni della vita di un* bambin*, Fede, che è nato biologicamente maschio ma che, fin dai primi mesi, si è identificat* con il sesso opposto. Stiamo parlando anche della vita di sua madre, Camilla Vivian, alle prese con qualcosa di sconosciuto, forse un disturbo psichiatrico (“Disforia di genere”?), forse un’attitudine (“Terzo genere”?), forse una fase (lunghetta, direi), di sicuro però molto molto inquietante. Eh già, perché viviamo in un paese in cui le famiglie che hanno figli con comportamenti simili tacciono, si nascondono, si vergognano o, peggio ancora, tentano di “correggerli”, forse inducendoli, senza saperlo, al suicidio (così le statistiche). Un paese in cui nemmeno i pediatri ne sanno niente, in cui non esistono linee guida, associazioni, informazioni, casistica.

Vivian ripercorre, strappandoci qualche risata, qualche lacrima, e provocando moltissime riflessioni, la storia di questa breve vita, a volte allegra, a volte cupa, ma di base serena. Racconti, aneddoti, esperienze vissute, a scuola, in vacanza, all’estero, coi compagni, alle feste, al mare, ma anche riflessioni, qualche dato, qualche studio. Persino una manciata di autobiografia, che è utile per empatizzare con le avventure di una madre persa nel vuoto pneumatico di una società cieca e omologata, sola con il suo problema (ammesso che tale sia), isolata con le sue domande senza risposta.

Per innamorarsi di Fede, di Camilla, della loro numerosa famiglia e delle loro peripezie, non serve avere vissuto qualcosa di simile, o avere amici gay (cosa che a quanto pare c’entra poco, dato che identità e gusti non sono la stessa cosa), o una famiglia “strana”. Basta essere genitori, oppure osservatori e protagonisti della nostra società. Troveranno pane per i loro denti studiosi dell’identità di genere, pediatri, psicologi, medici in generale, madri, padri, famiglie, adolescenti in cerca di se stessi, educatori, giornalisti, scrittori, ma anche chiunque abbia vissuto sulla propria pelle, o sia stato vicino a chi lo ha vissuto, uno sviluppo non-allineato, non-stereotipizzato, non-convenzionale.

In questo libro, un po’ come è accaduto per il film “Wonder“, troveranno pace tutti i bambini che si sentono “diversi” e tutti i genitori alle prese con la disperata e entusiasmante unicità dei loro figli. Un libro, insomma, che ci insegna a vivere, a pensare, a comportarci e anche a sentire: che ci insegna, cioè, ad essere liberi.

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