Una musica ariosa, a tratti barocca, che si regge su travolgenti progressioni di archi, sulla ripetizione insistita di frasi elementari e su melodie antiche da adagio settecentesco: chi è? Sì, è lui, Michael Nyman, e lunedi 16 maggio sbarcherà all’Auditorium Parco della Musica di Roma con una performance degna dello stato dell’arte della sua carriera. “L’ autore assicura che ciò che andiamo ad ascoltare è esattamente quello che lui intendeva esprimere. Per coloro che hanno già avuto modo di ascoltare Michael Nyman al pianoforte, questo è un esempio perfetto di quanto entusiasmo il compositore metta nella sua esecuzione. Minimalista? Ci sono brani pieni di melodia e liricità in questa esecuzione”. Lo scrive The Guardian, all’unanimità con la critica internazionale, e quella italiana è in attesa più che trepidante di dire la sua.

Nel suo programma pianoforte solo di lunedi, si potranno ascoltare in un live mozzafiato molti dei brani più noti che hanno emozionato l’intero globo terrestre, da Lezioni di piano alle colonne sonore di Le Bianche Tracce della Vita (the Claim), Il Diario di Anna Frank, Gattaca, Wonderland e Prospero’s Book. I brani, infatti, sono quasi tutti tratti dalle sue raccolte di musica per pianoforte solo (The Piano Sings e The Piano Sings 2, pubblicate sulla sua etichetta MN Records).

Con l’occasione vale la pena ripercorrere le tracce di questo artista, indubbiamente tra i massimi compositori viventi, maestro indiscusso del minimalismo (termine da lui applicato per la prima volta alla musica nel 1968), insieme a Philip Glass, Steve Reich, John Adams e Wim Mertens, ma anche molto versatile, coi lavori importanti per enti lirici, cinema, compagnie di danza e teatro. Indimenticabile, oltre a Lezioni di piano (quasi due milioni di copie vendute), anche le musiche per L’ultima tempesta di Peter Greenaway, tra i capolavori musicali del Novecento. Fu lui stesso a confidare, anni fa, la genesi della sua ispirazione: “Nasce da un’angoscia musicale molto personale – disse – la musica per me è potenza, passione, istinto, dolore”. Ed ecco che suoni molto diversi tra loro si fondono e contaminano, in un’orgia di folk, elettronica, musica sacra e classica, sempre molto suggestiva.

Si può dire, però, le contrapposizioni fanno parte del suo stesso percorso formativo, visto che, dopo un diploma alla Royal Academy of Music e King’s College di Londra, si mise a studiare musica folklorica romena. Mai sazio di stimoli, nel 1974 si dedicò alla critica musicale pubblicando il saggio Experimental Music: Cage and Beyond: due anni dopo, la sua Decay Music rivisitava la lezione “slow-motion” di Steve Reich e quella ambientale di Brian Eno, tracciando nuove traiettorie armoniche.

È sempre in questi anni, anche, che nacque la Michael Nyman Band (orchestra per cui Nyman ha poi concepito quasi tutta la sua musica) e il sodalizio con il regista inglese Peter Greenaway, che lo posizionò nell’olimpo dei compositori neoclassici. “Greenaway – racconta il compositore – mi chiedeva un commento sonoro a una sequenza di cinque minuti e io lo scrivevo, ma non mi ha mai detto che cosa volesse. Il nostro, in un certo senso, era un lavoro alla pari. Un regista pensa di dirigere anche il compositore e questo non va tanto bene… Con Greenaway non ho mai dovuto implorare un po’ di libertà creativa, perché questa è una cosa molto normale con lui. Oggi mi rendo conto di avere avuto un grande privilegio a lavorare con un regista che mi consentiva semplicemente di farmi sedere al pianoforte e comporre la musica che volevo per accompagnare le sue immagini”.

Negli anni ’90, la collaborazione con il regista Michael Winterbottom (Wonderland e The Claim) portò l’artista a immaginare un concept album decisamente innovativo: lo stesso tema si ripete in una serie di variazioni e ogni brano porta il nome di un personaggio del film, ma con una coerenza interna che è squisitamente musicale. Si trattò di uno dei culmini della sua produzione.

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