«Dolcissime ballate, rabbia prorompente e versi sublimi. Questo è Damien Rice» (The Guardian). «La maniera in cui riesce ad incantare il pubblico con le sue gemme folk è unica» (Rolling Stone). «Rice si fa notare con una voce potente tanto melodica quanto aggressiva» (The New York Times). Non si può che aggiungersi al coro. Il 26 luglio a Roma, a calcare il palco della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, niente meno che l’autore della strafamosa “The Blower’s Daughter”, scelta come colonna sonora del film Closer, nominato agli Oscar nel 2004. È stato un concerto a dir poco folgorante, a cominciare dalla scenografia minimale: lui, la chitarra, il palco. Intorno solo vento, fumo, e teli neri. Tutto perfetto, insomma, per esaltare quella voce inconfondibile, profonda, dolce, a volte roca a volte in levare.

Ma non solo. La sorpresa, infatti, c’è stata: la voce, in un paio di brani e in quello finale, ha cominciato a rifrangersi su sé stessa insieme agli strumenti usati in sequenza (varie chitarre, un flauto, un campanellino, una fisarmonica..), e il canone tecnologico in effetto Droste è culminato, come in un labirinto di suoni, in un’esplosione di effetti sonori e light design davvero suggestiva. E poi gli interventi in prosa: un paio di discorsi, qualche battuta, un racconto drammatico sulla sua infanzia, e la gag degli spermatozoi che, come simbolo di vita e vitalità, vorrebbero disperdersi ovunque. Notevole anche il pezzo del bis, senza microfono, nella ricerca spasmodica di un contatto quasi carnale col pubblico. Anzi carnale, dato che Damien, travolto da sé stesso e dal proprio talento, ha poi invitato tutti a salire sul palco, rischiando di essere divorato dall’entusiasmo dei fan. E invece, la magia: guidati dall’artista, tutta la Cavea raccolta tra palco e parterre, ha intonato, proprio come il gioco appena ascoltato, un canone a tre voci da lacrime agli occhi.

Dopo la tappa del 27 luglio al Teatro Antico di Taormina, giovedì 30 luglio sarà la volta del Castello Scaligero, a Villafranca di Verona. In ballo c’è “My Favourite Faded Fantasy”, autoprodotto con l’aiuto di Rick Rubin, terzo album di questo giovane musicista dalla faccia ruvida e il sorriso dolcissimo, proprio come le note che compone. Uscito nell’ottobre scorso, ha coinvolto tutto il mondo e anche Milano, dove ha fatto innamorare il pubblico del Gran Teatro Linear4Ciak. Erano ben 8 anni che Rice non emetteva suono: strano, dopo i capolavori di “O” e di “9”. Perché? Lo si comprende ascoltandolo, promesso. Questo «mix perfetto di arte, personalità e presenza scenica» (Los Angeles Times), «il più emozionante e incoerente cantautore al mondo» (Newsweek), è infatti un maestro dell’anticonvenzionale, e per questo non rispetta alcun canone, nemmeno le aspettative di critica, pubblico e produttori in attesa.

Follia pura nella logica del mercato musicale internazionale, soprattutto se, come è accaduto nel 2002 a “O”, si rimane per ben 80 settimane nella UK Top Album Chart e 10 settimane nei Billboard 200, vendendo oltre 2 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo (1 milione solo in UK). E non basta, perché nello stesso anno conquista una nomination ai Brit Award e agli NME Award, e diventa il primo artista irlandese a vincere il prestigioso Shortlist Music Prize. Dopo “soli” quatto anni, esce “9”, e di nuovo è un tripudio di critica e pubblico, tanto che l’artista viene nominato ai Brit Awards come miglior artista Internazionale. Memorabile il tour mondiale tutto sold out che culminò alla Wembley Arena a Londra (il tour porta alla pubblicazione di un album dal vivo, “Live From the Union Chapel”).

Questo artista bizzarro, radical, sognatore e poeta, bravissimo, è anche impegnato sui diritti civili, tanto che ha pubblicato il singolo “Unplayed Piano” a supporto della “Free Aung San Suu Kyi 60th Birthday Campaign”, campagna su iniziativa globale per la liberazione del Premio Nobel per la Pace Birmano.

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