Era l’aprile del 2005 quando Felicity Crosland, seconda moglie di Roald Dahl, arrivò alla fiera del libro per ragazzi di Bologna per i 15 anni dalla scomparsa del marito. La accolse Donatella Ziliotto, autrice di libri per ragazzi, traduttrice di molte opere di Dahl, e fondatrice della collana Gli istrici di Salani editore, che ha pubblicato tutte le opere di questo autore. Ziliotto dichiarò in quell’occasione che Roald Dahl aveva permesso a tutti i bambini italiani di essere liberi, perché li aveva resi consapevoli dei propri diritti e refrattari a qualsiasi subalternità della condizione infantile e ad ogni sminuimento.

Oggi voglio parlare della traduzione italiana di Ziliotto di GGG. Il Grande Gigante Gentile, uscito nel 1982, del gigante Roald Dahl: gigante non solo per la statura di grande scrittore, ma anche per la sua stazza, effettivamente fuori dai parametri normali. Per questo probabilmente il libro contiene forti elementi di biografia emozionale, e in ogni caso ha una potenza narrativa ed empatica che solo l’autenticità più sincera riesce a conquistare, nel complesso rapporto con il lettore.

La trama è semplice, e nota anche per la recente trasposizione cinematografica di Spielberg per la Walt Disney (2016): Sofia non sta sognando quando vede oltre la finestra la sagoma di un gigante avvolto in un lungo mantello nero. È l’Ora delle Ombre e una mano enorme la strappa dal letto e la trasporta nel Paese dei Giganti. Come la mangeranno, cruda, bollita o fritta? Per fortuna il Grande Gigante Gentile, il GGG, è vegetariano e mangia solo cetrionzoli; non come i suoi terribili colleghi, l’Inghiotticicciaviva o il Ciuccia-budella, che ogni notte s’ingozzano di popolli, cioè di esseri umani. Per fermarli, Sofia e il GGG inventano un piano straordinario, in cui sarà coinvolta nientemeno che la Regina d’Inghilterra.

Suggerisco la lettura, assolutamente prima della visione del film: è una delle esperienze più straordinarie che io abbia mai fatto in termini di suggestione semantica e linguistica. La traduzione infatti, vera opera d’arte forse tra le più complesse al mondo per la resa, ci fa fare un viaggio in una lingua – paraitaliana – che non esiste e che pure noi (e i nostri figli, dagli 8 anni in poi) comprendiamo perfettamente. Il GGG infatti parla a modo suo, usa per il 50% neologismi, sempre in terza persona, e sempre in modo non didascalico ma visionario. Esempi? Popollo significa persona, e per assonanza deriva da popolo; cetrionzolo è il cetriolo; scipoppio è una bevanda verdognola amatissima dal gigante. Sono solo tre esempi in un libro che contiene parole reinventate per singola riga, che non mi aiutano a farvi comprendere la meraviglia di scorrere le pagine componendo una storia tra costruzioni semantiche e sintattiche assolutamente ribelli, eppure perfettamente comprensibili. Fattore, questo, che ci posta a comprendere la lettura per insight e a chiarirci – attraverso l’emozionante esperienza letteraria – che regole, norme e codici, così come pregiudizi, stereotipi e parametri, linguistici così come cognitivi e comportamentali, sono solo abitudini, che niente hanno di assoluto se non il potere di orientarci nello spazio infinito delle possibilità. Un po’ come una imbracatura per chi tenta imprese rischiose.

In inglese questo uso della lingua di Roal Dahl viene chiamato gobblefunk: il GGG non è l’unico libro in cui Dahl fa questa magia (e con lui la Zilotto), anzi, nel corso della sua carriera l’autore britannico ha inventato più di 500 parole.

Ma veniamo a Sofia: la bimbetta è molto coraggiosa e determinata. Dopo essere stata rapita dal GGG, prende rapidamente in mano la situazione, e con grande resilienza e prudente curiosità cerca di scoprire tutti i segreti di quel posto magnifico, assaggiando nuovi cibi ed escogitando un brillante piano per dare una lezione agli altri giganti, che, a differenza del GGG che non mangia bambini ma colleziona sogni, sbranano esseri umani. Il rapporto che si crea con il GGG è di una intensità straordinaria e di enorme portata simbolica: “Che cosa c’è dentro l’inconscio di ogni bambino, del bambino che rimane sempre, anche da adulti, in ognuno di noi? C’è qualcosa di molto più grande di quello che riesce a percepire alla luce del giorno”, dice il critico Riccardo Tavani. Qualcosa che si intuisce solo quando si è soli con se stessi, nel proprio letto, nella soglia critica tra il buio della stanza e il sogno.

La caverna dove vive il GGG è l’inconscio dentro di noi, quel sottosuolo della nostra coscienza che ci fa paura ma anche ci attrae, dove ci sono le nostre più profonde verità, magiche e misteriose, terribili e favolose. Come in una sorta di rovesciamento della caverna di Platone, è entrando dentro il buio della nostra autenticità che scopriamo come stanno davvero le cose, e l’oscurità di quella grotta interiore preclude una più piena comprensione del mondo fuori. Se è vero che in rapporto a queste oscure profondità ognuno di noi è solo, è anche vero che i più fortunati e dotati hanno quel desiderio, quel sollecito, quella curiosità e quella brama di conoscenza che spinge a oltrepassare le barriere del noto. Il GGG è la rappresentazione di questo desiderio, è il tramite, il nostro mezzo interiore. Siamo davvero come Sofia, gli orfani che devono trovare dentro di sé la forza per andare avanti.

“Quando Sofia indosserà la giacca di velluto rosso presa in un vecchio baule del Gigante, questi le dirà che la aveva già indossata un bambino a lui caro, il quale, però, aveva paura. Sofia gli risponde che lei invece non ha nessun timore, si toglie la giacca e la rovescia per indossarla di nuovo, per mettersi addosso il rovescio della paura, ossia il coraggio di affrontare a viso aperto il mondo dei veri giganti che la vogliono divorare”, scrive Tavani.

Il GGG, che nella sua caverna acchiappa con un barattolo i sogni e li colleziona, che cerca di riprendere nella propria rete tutta questa materia onirica dispersa, di separare quella buona da quella cattiva, e la notte uscire nelle strade solitarie e non illuminate della città – della civiltà – per soffiarla dentro il respiro dei bambini, con una sua specie di strana tromba che suona silenziosa luce buona, altro non è che il deposito stesso dei sogni, delle leggende, degli archetipi di una civiltà. Per questo parla strano, proprio come un bambino quando comincia le sue lallazioni (infanzia significa mancanza di parola): con quel suo deposito ancora grezzo, informe di parole, frasi, modi di dire che costituiscono il sostrato più profondo di quella che chiamiamo non a caso madrelingua.

Il rapporto tra gigante amico e popolo lo capiamo in tutta la grande scena simbolica e allo stesso tempo esilarante, travolgente della Regina. È come se Sofia dicesse alla sovrana, a chi detiene il potere, che un popolo sono i suoi stessi sogni, le sue favole, i suoi racconti attorno al fuoco dell’immaginazione, che anche quando è adulta è pur sempre autenticamente bambina. La Regina deve proteggere, salvare il suo popolo, salvare lo scrigno onirico prezioso custodito dall’infanzia originaria di ogni civiltà.

Questo libro ci esorta a vivere il nostro personale rapporto con il GGG che risiede dentro ognuno di noi, a trovare il coraggio di scrivere (o riscrivere) la storia della nostra identità alla luce di una integrazione di tutte le nostre parti, alla luce della nostra autenticità e verità.

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