Come si definisce un criminale? Sempre più spesso a rispondere a questa domanda sono i tuttologi, ad esempio utenti della rete, ignoranti, disinformati e giustizialisti a caccia di emozioni forti e, possibilmente, di “mostri”. Oppure commentatori, programmi tv, editorialisti sulle pagine dei quotidiani. Com’è possibile? Che fine hanno fatto i Tribunali, i periti, le sentenze?

Marco Lagazzi, psichiatra forense, psicoterapeuta, referente del Servizio di Psichiatria Forense del MiCAL a Milano e membro del ConsiglioDirettivo AICPF, si è occupato di criminali che hanno fatto la storia della cronaca nera italiana, come ad esempio il “Mostro di Firenze“, ma è stato anche medical expert presso il Tribunale Internazionale dell’ Aja per i Crimini contro l’Umanità nella ex Yugoslavia (I.C.T.Y.): “Purtroppo sta diventando frequente usare modelli valutativi anti – scientifici e giuridicamente non accettabili, per i quali, in base a assiomi indimostrati e indimostrabili, si traggono correlazioni di carattere ipotetico tra aspetti clinici e fattori comportamentali, al di fuori di del nesso causale. La matrice di tale modello esplicativo nasce dal crescente spazio che stanno assumendo in perizia i modelli esplicativi di tipo psico – sociale, per i quali, ad esempio, talvolta si inizia a riconoscere un possibile valore patogeno causale, o quantomeno concausale, a caratteristiche come le peculiarità etnico – culturali, o le reazioni emotive e passionali, le quali, per legge, non costituiscono in alcun modo infermità, ma ciò nonostante sono sempre più spesso sono invocate in senso difensivo come elementi dotati del valore di diminuenti o esimenti in rapporto al comportamento dell’autore di reato”.

In questo approccio, dunque, le relazioni difensive di voi periti diventano monumentali, una sorta di valanga di informazioni personali e dati riservati inutili dal punto di vista giurdico? “Più o meno. Le relazioni dovrebbero essere sintentiche e connotate unicamente dagli accertamenti opportuni e necessari. Invece si effettuano miriadi di colloqui che raccolgono una vera e propria “nube” di dati, attinenti anche a fattori altamente sensibili e del tutto indipendenti dalla valutazione peritale”.

Un esempio? “E’ del tutto ininfluente, ai fini valutativi, che il tossicodipendente autore di una rapina con tentato omicidio in danno di una anziana signora abbia avuto in età infantile un’esperienza intima con una zia, dalla quale trarre l’ipotesi di una sua aggressività verso le donne di una certa età,  così come non ha alcun senso dare rilevanza al fatto che l’anziano, vittima di circonvenzione da parte della badante, avesse avuto due mogli e molte avventure femminili quando era un quarantenne dirigente d’industria, quindi si possa dedurre la coerenza e pertanto adeguatezza di una sua scelta economica diretta a favorire la donna, quando ha semplicemente un decadimento cognitivo medio – grave”.

Nube di dati che però crea la notizia, la leggibilità di un articolo, l’audience di un programma: “Appunto. Non deve andare così. La stampa, i media, non possono diventare Tribunali in cui si discutono i dati personali trafugati dalle perizie per stabilire un profilo psicologico al di fuori di qualsiasi evidenza di letteratura e significatività concreta, o addirittura dimostrare un nesso causale con il comportamento del possibile criminale”. Cosa che potrebbe per altro influenzare i giudici, non crede? “E’ possibile, certo. Negli accertamenti orientati alla “compatibilità” è abituale che si impieghi una notevole mole di test psicodiagnostici, peraltro talvolta neppure validati dalla comunità scientifica, per avere inferenze sui vissuti inconsci della persona, secondo una modalità di indagine che non è ammessa dalla norma (la quale proibisce le “perizie psicoanalitiche”), ma porta il perito a trarre argomentazioni di carattere ipotetico attraverso una sorta di “salto triplo” deduttivo, perché parte dalla interpretazione del test, spesso non standardizzata e quindi soggettiva, per trarre da essa una propria ulteriore interpretazione sul dato, e quindi validare tali assunti in sede valutativa, come se fossero una diagnosi clinica dotata di certezza”.

Chi passa alla stampa i dati personali dei possibili criminali? “E’ un fatto molto grave. Ma se si correggesse all’origine il modus operandi dei periti, il problema non sussisterebbe. E’ semplice: non devono essere prodotte queste inutili moli di dati riservati. La produzione di una nube di dati questo tipo, il loro inserimento in relazioni peritali, e il loro passaggio dalla relazione al Tribunale alla stampa, ai social media e agli opinionisti televisivi, sovrappone la scorrettezza scientifica e metodologica alla mancata attenzione, da parte del perito responsabile dei dati, dell’uso potenzialmente scorretto che prevedibilmente potrebbe essere fatto degli stessi, in una situazione mediatica nella quale ovviamente è forte l’interesse per il particolare scabroso o sensazionalistico, mentre è inevitabilmente assai scarso quello per la dimensione scientifica e giuridica dell’accertamento peritale”.

Soluzioni concrete? “Autoregolazione. Oggi il perito psichiatra è addestrato a svolgere un accertamento il più possibile rigoroso, ma è costantemente esposto al rischio dello scivolamento verso le facili assonanze dei modelli di compatibilità anziché di linearità e, soprattutto, dell’abbandonare la scelta del “lathe biosas” a favore della adesione al divenire soggetto mediatico, così da evitare finalmente il contenuto furore che prova nel sentirsi chiedere, a ogni cena con terzi, se conosca i “grandi esperti” che concionano nei salotti televisivi e se abbia imparato il mestiere da loro. La adesione a una stretta osservanza dei modelli di rispetto e di tutela della privacy rappresenta uno strumento di rigore, ed è fondamentale adoperarsi per diventare intransigenti con se stessi: rinunciare all’acquisizione dei dati più nascosti della vita delle persone”.

Per capirne di più, a dicembre 2018, la casa editrice ETS pubblicherà un libro dal titolo “Dove non arriva la privacy. Come creare una cultura della riservatezza”, in cui Lagazzi ed altri autori approfondiranno questi ed altri temi, per una presa di consapevolezza su questo mondo, sempre più virtuale e liquido, in cui sta diventando urgente imparare a muoversi con destrezza per proteggere la propria riservatezza e rispettare quella degli altri.

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