Sarò breve e concisa. Il 26 giugno negli Stati Uniti viene riconosciuta l’uguaglianza del matrimonio per le coppie dello stesso sesso e Facebook, colosso tra i social media, decide di lanciare un’opzione facoltativa che permette alle persone di aggiornare la propria immagine del profilo aggiungendoci il filtro “rainbow”. Che Mark Zuckerberg sia da sempre un sostenitore dei diritti Lgbtqi si sa, ma questa volta si è speso direttamente, pubblicando due post in cui sfoga l’entusiasmo umano e personale.

Vista l’immediata risposta del popolo della rete che, da tutti e cinque i continenti ha ‘arcobalenizzato’ il proprio account (secondo un portavoce di Menlo Park, William Nevius, oltre un milione di persone ha aderito solo nelle prime ore), Facebook ha anche deciso di valorizzare una storia particolarmente rappresentativa: Facebook Stories ha infatti rilasciato un breve filmato su Justin Kamimoto, un giovane uomo che ha creato un Gruppo Facebook Lgbtqi dedicato ai giovani nella conservatrice Central Vally in California. “Il gruppo ha aiutato numerosi giovani adulti e teen-ager a trovare risorse e accettazione, a prescindere dal genere di identificazione”, spiega Alessandro Ghioni, dall’ufficio stampa di Facebook in Italia.

L’ufficio stampa, poi, mi ha fornito anche altri dati: “Ad oggi, sono ben 6 i milioni di persone che negli Stati Uniti sulla piattaforma si sono definite gay, lesbiche, bisessuali, transgender o hanno indicato altri non-conforming gender, e quasi 1 milione di persone si è iscritto a Gruppi Facebook a supporto della comunità Lgbtqi”.

Intanto, oggi, dopo soli tre giorni, sono stati superati i 26 milioni di persone nel mondo che hanno hanno cambiato la propria foto per sostenere i diritti Lgbtqi, e queste immagini hanno ricevuto più di mezzo miliardo di like e commenti (circa 565 milioni di interazioni per essere più esatti, precisa l’azienda)

Buonismo a parte, e senza alcuna ingenuità, mi schiero con il social media: non mi interessa se, come sostiene oggi Simone Cosimi su Repubblica, negli stabilimenti della Sun Microsystems si sta cercando di usare le emozioni degli utenti per fare nuove ricerche di mercato o quant’altro. O meglio, trovo che sia di gran lunga più interessante osservare il fenomeno sociale e “dal basso” e ringraziare un’azienda che si impegna per sostenere – magari perseguendo al contempo anche i propri interessi – una causa umanitaria.

Anche se Facebook non dispone, al momento, dei dati particolarizzati sull’Italia, il nostro Paese ha adottato in modo quasi massivo i comportamenti suddetti, e ovunque si navighi, le facce sono rosso-arancio-giallo-verde-blu-violetto. E’ insomma una evidenza che i cittadini del Bel Paese siano più avanti del loro governo, del loro Parlamento e della loro Magistratura, pronti a riconoscere come evoluta e democratica una società che riconosca anche giuridicamente le famiglie arcobaleno, i matrimoni egualitari, le adozioni gay. Grazie insomma all’iniziativa pop di un sistema di ‘rete’ che si è mostrato capace di connetterci più di qualsiasi media e di qualsiasi politica, per la prima volta nella storia del nostro Paese, è scesa in campo la società tutta che, sia pure ‘guidata’ da una tecnologia forse interessata, si è espressa forte e chiara: stessi diritti per tutti.

Personalmente credo che il dettaglio che segna la svolta, confermato anche dal recente Pride di Milano, sia la discesa in campo degli etero. Perché penso che quando un cittadino assume su di sé un’ingiustizia perpetuata su altri suoi concittadini, ed è pronto a ribellarsi, la democrazia è compiuta e la storia può girare pagina.

Io lo dico: è fatta. Alla faccia degli stereotipi retrogradi e ignoranti sbandierati come trofei ai Family Day per far leva sui timori delle persone più chiuse e piegarle sotto un dogma cieco e ottuso, alla faccia delle minacce dei parroci, alla faccia di quei Pm che impugnano le sentenze di giudici giusti, alla faccia dei 4000 emendamenti con cui una certa opposizione fa sleale ostruzionismo al lavoro di un governo al passo coi tempi. E’ fatta comunque, qualunque cosa stia o non stia per accadere. E’ fatta perché l’Italia è pronta: forse non tutta, ma nella sua maggior parte.

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