Il fatto realmente accaduto al quale il romanzo si è ispirato è invece il cosiddetto “delitto di Giarre” del 1980 in provincia di Catania quando due giovani omosessuali furono trovati uccisi a colpi di postola ai piedi di un albero. Il silenzio dei giorni (Ianieri edizioni) è il romanzo d’esordio di Rosa Maria Di Natale, blogger di ReWriters, che negli anni scorsi si era già misurata con successo con la narrazione grazie ad alcuni racconti pubblicati su riviste importanti. Ma cosa può portare una giornalista navigata a dedicare il suo primo romanzo a una storia di diversità? Un fatto di cronaca terribile e mai chiarito che come una scintilla ha acceso nell’autrice l’urgenza di raccontare un’altra storia totalmente inventata, ma non per questo “meno reale della vita che siamo chiamati a vivere”, come sostiene lei stessa.

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Con uno stile fluidissimo – zeppo di descrizioni, non senza qualche punta di lirismo e con un uso del dialetto molto misurato – e senza sconti verso certe abitudini sociali allora considerate più che accettabili, Rosa Maria Di Natale racconta una storia che arriva diritta come un pugno allo stomaco. La voce narrante è quella di Peppino Giunta, oramai cinquantenne trapiantato a Milano, che lavora in un grande quotidiano come correttore di bozze. In una sola notte racconta la sua storia familiare, segnata da un’immensa tragedia, al suo capo redattore che lo sta a sentire per un motivo che già da solo non trova  resistenze: i veri giornalisti, vogliono ascoltare le storie da cima a fondo, perché sono certi che in ogni caso ne valga la pena.

Le circostanze del delitto di Giarre non furono mai del tutto chiarite. Le ipotesi rimasero sostanzialmente due: furono uccisi su preciso mandato, oppure si trattò di suicidio “per conto terzi”, per interposta persona insomma, come sembrò da una confessione di un parente minorenne che poi finì per ritrattare. In ogni caso i due furono vittime di omofobia visto che l’intera comunità non reggeva il loro legame scandaloso, insomma, il loro amore.

Il delitto di Giarre portò alla fondazione del primo nucleo di militanti gay e, l’anno successivo, a Palermo, alla prima Festa nazionale dell’orgoglio omosessuale. Ecco a cosa sono servite ad oggi le morti di Giorgio e Toni. Ma sono troppi i nodi di un delitto di questo tipo che rimangono comunque irrisolti: “Certo la letteratura non risolve i grandi dilemmi ma per quanto mi riguarda aiuta a vivere o a farsi delle domande che magari, senza un testo, non sarebbero mai sorte”, spiega l’autrice.

E allora una delle domande di questo romanzo d’esordio potrebbe essere: come può una comunità apparentemente sana, baciata dalla bellezza della natura, diventare in qualche misura assassina? Oppure: che peso possono avere i silenzi nei rapporti familiari? Può almeno il tempo allentare il dolore della morte? È possibile credere che la scoperta della verità possa cambiare il destino dei singoli? “Il silenzio dei giorni è la storia di due fratelli, della loro famiglia e di un’intera comunità. Siamo nel 1972 a Giramonte un paesino di fantasia che però è la copia perfetta della provincia siciliana di quegli anni ai piedi del vulcano Etna. Dove la virilità era considerata un valore assoluto e predominante e dove la rispettabilità di uomini e donne passava dalle regole antiche del patriarcato. Tutto questo non comprendeva neppure per caso la parola omosessuale. Semmai si parlava di “puppi” o “finocchi” con un disprezzo che partiva dal linguaggio sino a toccare tutti livelli possibili. L’omofobia non arrivava mai da sola già mezzo secolo fa”.

Ma perché gli anni Settanta? “Nel 1972 la Sicilia era sospesa fra la voglia di modernità e di rivoluzione di quegli anni e i retaggi ottusi e ancora ottocenteschi, per non dire millenari. Molti giovani ne fecero le spese”.

La dedica del romanzo suona come una sentenza: “Ai diversi di ogni tipo e a ogni tipo di sopravvissuti”. Che di diversi ce ne siano – fortunatamente-  tantissimi è chiaro. Ma chi sono i sopravvissuti? “Quelli che restano, quelli che sopravvivono ai lutti o a grandi disastri, e si chiedono perché non sia toccato a loro. E trascorrono una vita intera appesi allo stesso filo, come marionette infelici. Peppino Giunta è uno di loro”.

Un onore avere un talento come Di Natale nel Movimento Culturale, vera attivista per riscrivere i nuovi parametri di senso di questo mondo, e lasciare alle nuove generazioni una mappatura di paradigmi e valori per orientarsi e sviluppare buone pratiche: un temperamento che ha sempre fiutato le storie della realtà e una creatività capace di trasformarle in storytelling appassionati, come oggi è questo romanzo.Rosa Maria Di Natale B-N

Da anni collabora con il Gruppo GEDI e Repubblica Palermo ed è nel gruppo italiano di ONA (Online News Association). Ha vinto il “Premio Ilaria Alpi” nel 2007 con una video-inchiesta auto prodotta, “Hotel Librino”, che le è valso anche il Premio “Pro bono veritatis” intitolato a Rosario Livatino, nel 2011.Per oltre un decennio è stata cronista nella redazione del Giornale di Sicilia di Catania e ha collaborato con Il Sole 24 Ore Sud e Radio 24.
È stata docente a contratto di Giornalismo, comunicazione e Nuovi media all’Università di Catania e ha pubblicato Potere di Link – Scritture e letture dalla carta ai nuovi media (Bonanno, 2009) sul rapporto tra scrittura letteraria e fruizione digitale.

Ha fondato e coordinato il blog Data Journalism Crew, per il quale nel 2012 ha vinto il Premio Donnaèweb (sezione Press). Nel 2017 ha fondato il team EmPress media e News, con particolare attenzione al Social Journalism e ai podcast. Promuove e coordina gruppi di lettura in presenza e sul web, tra cui “Letture italiane in corso” su Twitter e Instagram.

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