Lo straordinario attore diciottenne Ferancesco Gheghi, versione nostrana di Timothée Chalamet, interpreta Leone, il sedicenne alle prese con il suo primo amore, la bellissima modella e attrice Giulia Maenza, e con la separazione turbolenta dei suoi.

Francesco Gheghi

La sua ragazza, con cui ha il primo rapporto sessuale, è aperta e libera, con più esperienza di lui e con un gemello che ha appena scoperto la propria omosessualità: lo sta aiutando nel percorso di accettazione di se stesso e del suo orientamento sessuale, anche combattendo le ipocrisie e il conformismo della madre.

Giulia Maenza

Il padre di Leone, interpretato da Francesco Scianna, da due anni ha una relazione clandestina per cui è disposto a sfasciare la famiglia e, quando capita il classico incidente del telefonino dimenticato in giro, lascia che tutto deflagri e se ne va malamente. Suo marito, Filippo Timi, è distrutto e il dolore si esprime attraverso la rabbia: comincia la consueta guerra tra i coniugi che, come purtroppo spesso accade, ha per oggetto principale la contesa del figlio.

A questo punto si apre una questione particolare, un caso di specie: infatti, se fino a quel momento non era mai stato considerato importante conoscere la genetica di Leone, venuto al mondo con amore grazie a una donatrice-portatrice californiana, di fronte all’affacciarsi di una contesa legale diventa cruciale conoscere quale dei due padri sia quello genetico.

Non posso spoilerare ulteriormente, vi dico solo che i colpi di scena non mancano e nemmeno le opportunità per riflettere sui grandi temi della vita: nascita, crescita, amore, tradimento, genitorialità, discriminazione. Il tutto dentro al ritmo incalzante della commedia brillante, a tratti comica a tratti commovente, per certo con mordente.

Prodotto da Viola Prestieri e Valeria Golino (produttore esecutivo Davide Bertoni e Gennaro Formisano, produzione HT Film), la sceneggiatura è scritta dal regista stesso, Marco Simon Puccioni, insieme a Luca De Bei. Stiamo parlando del talento che ha portato in sala film come Come il vento con Valeria Golino, che racconta la tragica vita di Armida Miserere, una delle prime donne a dirigere un carcere in Italia, per cui ha ottenuto la candidatura al Nastro d’argento per la sceneggiatura.

Un regista impegnato proprio sul tema delle famiglie omogenitoriali, di cui anche chi vi scrive fa parte, attraverso il progetto My Journey to meet you, una serie di documentari sulle famiglie con genitori omosessuali (il primo episodio, il documentario Prima di tutto, ha ricevuto nel 2016 una menzione speciale ai Nastri d’argento, mentre il secondo documentario Tuttinsieme è stato presentato al Biograf Film Festival 2020 ed è stato distribuito in sala).

A parte:

  • un paio di errori nella sceneggiatura (tipo Maenza che risponde al wapp di Gheghi arrivandogli dalle spalle e coprendogli gli occhi senza aver letto il messaggio :D);
  • una terminologia errata per definire il donatore (che nel film viene chiamato padre biologico)
  • la semplificazione della GPA (Gestazione Per Altri), immagino al fine di fluidificare la sceneggiatura (la donna donatrice e la donna portatrice nel film coincidono),

l’opera è non solo godibile, interpretata maestosamente e assolutamente credibile, ma anche un’esperienza da non perdere per comprendere la contemporaneità e alcuni suoi passaggi complessi, come appunto la messa in discussione di archetipi che per secoli hanno definito la realtà, e con essa la famiglia, la genitorialità, l’amore, le relazioni, riducendo gli orizzonti a limiti.

In ogni caso, le due vignette, una in bagno, con i tre ragazzi e la madre dei gemelli, e quella finale con l’equivoco sui tre padri, sono da scuola di sceneggiatura: assolutamente esilaranti e veramente liberatorie. Come sempre, di fronte al cinema (come all’arte in generale), non importano le proprie credenze perchè, se l’opera ha valore, l’esperienza dello spettatore sarà in ogni caso accrescitiva.

Buona visione.

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