Che cos’è un parco interattivo? Un luogo dove ogni gioco può essere smontato e rimontato diversamente, assemblato con altri giochi per diventare altro da sè, rimodellato, manipolato, trasformato: grazie alla tecnologia. Gioia per i bambini (e per chi bambino è rimasto dentro almeno un po’), visto che sono loro i primi a mischiare la realtà con la fantasia, prima che quella specie di fuoco sacro si spenga, per lasciare spazio al diventare adulti.

L’idea è stata dell’architetto Stefano Converso che, con i sui studenti del corso universitario di “Tecniche parametriche di progettazione” del Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, insieme al gruppo Fab Lab Roma, Makers e Casetta Rossa Bene Comune, ha realizzato un esperimento di tecnologia applicata al gioco, al benessere, all’infanzia, alla città, anche per scardinare gli stereotipi che vedono la tecnologia come un nemico della naturalezza della vita.
“Durante il corso – spiega il prof. Converso – abbiamo sviluppato progetti di strutture per un parco a ‘sorgente aperta’, ossia che fossero allo stesso tempo multi-senso, modificabili nel tempo, e a geometria variabile”. Non certo un dettaglio la partnership con Devoto Design, azienda manifatturiera del legno che aveva collaborato con Converso anche per la realizzazione delle complesse strutture della famosa “Nuvola di Fucksas”.

“Il modello innovativo del ciclo progettazione-produzione-gestione-modifica – continua Converso – è ispirato da esperienze internazionali come Open Desk, ma anche da piccole realtà della nuova manifattura 2.0, come lo studio Superfluo, per citare una esperienza romana, in cui il progetto è condiviso, anzi “condiffuso”, per citare una delle nuove parole che si stanno coniando per definire le nuove realtà generate dal digitale”. L’intera iniziativa è basata sulla distribuzione tecnologica con Licenza Creative Commons, proprio come il software Open, ossia: non ci sono copyright, tutto è condiviso, aperto, anche il kow-how. Ecco perchè la possibilità di interagire e modificare a proprio piacimento: “L’idea si basa sulla creatività intesa come bene collettivo, risorsa comune – dichiara l’architetto – che architettonicamente in questo caso si traduce in una concezione per parti assemblabili a secco chiamate PressFit, che possano anche rappresentare una risposta al vandalismo, alle ‘rotture perenni’ che troppi genitori devono osservare nei parchi romani”. E qui nasce la sinergia con Casetta Rossa, protagonista di una gestione dal basso del Parco Cavallo Pazzo di Garbatella, ma che è anche “Point of Presence” (i POP di Internettiana memoria) per il quartiere, proprio insieme al Fab Lab prospiciente (con il suo Spazio Chirale), che ha prodotto lì, sul posto, gli arredi multi-senso.

Dunque, mi raccomando: integrazione e, ovviamente, riciclo e riuso a fine vita

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